giovedì 18 dicembre 2014

La morte sospesa e il pietoso "rito del respiro"

Esistono luoghi dove si percepisce l'anima pulsante della terra. Senza andare a scomodare religioni newage, studi di geobiologia o radioestesia, è proprio lì, in quei luoghi, dove, quasi automaticamente, fermandosi ad ascoltare con tutti i propri sensi, ci si mette in sintonia con vibrazioni ancestrali e si ha la netta sensazione di essere a contatto con qualcosa di più grande e misterioso. Un'esperienza derivante dalla suggestione? Può essere, ma se la si prova, questo “qualcosa” ci entra dentro.
Forse è lo stesso tipo di sensazione che deve aver indotto antichi progenitori a edificare un'ara, un tempio, un santuario proprio in quel luogo, isolato, “sacro” quasi per vocazione.
Il santuario della Madonna della Gelata a Soriso (Novara)
La natura attorno all'Oratorio di Santa Maria della Gelata a Soriso, piccolo borgo non lontano dal Lago d'Orta, in Alto Piemonte è, intrinsecamente, suggestiva, proprio nel vero senso del termine, cioè che “suggerisce” qualcosa. Immersa nel bosco, si erge scenograficamente al termine di una lunga scalinata, dominando una piccola e ombrosa valletta. Non lontano, sgorga una fonte, praticata da tempi immemorabili, che già riconduce a un'idea di acqua lustrale.
L'antica fonte della Gelata
E' infatti questo un luogo di prodigi... addirittura di resurrezioni. Qui, quando, un tempo, la mortalità infantile mieteva miriadi di piccole vittime, si svolgeva un pietoso rito: quello del “Respiro”. I piccoli nati morti non potevano essere sepolti in terra consacrata, così compassionevoli processioni portavano i corpicini al cospetto dell'effigie della Madonna, in modo da cogliere almeno un barlume di vita e poter  celebrare un frettoloso battesimo. 
La sacra effigie della Madonna
Un segno, bastava un minimo segno per aspergere sul capo del bambino l'acqua santa purificatrice; solo in questo modo la sua anima avrebbe potuto salire in Paradiso, senza essere privata, nel Limbo, della visione di Dio. In genere si appoggiava una piuma sulla bocca del piccolo e, tra le preghiere incessanti di una fede antica e l'intensa emozione del momento... ecco il fremito della piuma indotto dal respiro del bambino e... il miracolo di un brevissimo ritorno in vita. Esistono autorevoli studi che trattano specificamente di questo rito, tipico delle zone alpine e prealpine della Alpi Occidentali,  una tradizione che ha resistito fino alla fine dell'Ottocento, per poi spegnersi definitivamente all'alba del Secolo Breve. 

Ma, al di là di tutto, è in luoghi come questo dove si sente davvero il “respiro” della natura, dove ci si può abbandonare a un intenso coinvolgimento emozionale, dove rivive, e questo è davvero un piccolo miracolo, la memoria di percorsi umani che, sebbene non ce ne accorgiamo quasi mai, sono dentro di noi.

lunedì 15 dicembre 2014

Val di Chio, entrando in un' "altra" Toscana

A volte l'istinto del turista-viaggiatore ti induce a fare scelte non razionali. Percorrendo la strada che unisce Arezzo a Cortona e al lago Trasimeno, non si sa proprio che cosa ti faccia deviare all'interno, in direzione di una piccola valle e di paesini dalle ignote denominazioni. Forse la voglia matta di risentirsi un po' bambino, alle prese con l'adrenalina di piccole-grandi esplorazioni. Comunque sia, un valore aggiunto lo si trova subito: poter finalmente guidare a 30 all'ora, senza avere alle calcagna il solito e odiosissimo suv, impaziente di superarti a qualsiasi condizione. Poi, togliendosi dalla statale, c'è la possibilità di ammirare dal basso la cittadina di Castiglion Fiorentino, adagiata scenograficamente su un colle. Ma non siamo in provincia di Arezzo? Scherzi della toponomastica legati a vicende storiche che raccontano lotte per assicurarsi il dominio di un borgo in posizione strategica nel territorio del Granducato.
Panorama della Val di Chio, in primo piano la Collegiata di San Giuliano di Castiglion Fiorentino
Già questo fatto ti suggerisce di essere in un luogo particolare, anche perché Castiglione è un po' un confine tra due mondi, la fertile e animata Val di Chiana da una parte e quel discosto solco vallivo che abbiamo iniziato a percorrere, che si chiama Val di Chio, dall'altra. Tornando alla nostra esplorazione dal sapore bambinesco, l'esordio in effetti ha qualcosa di ludico, con la strada che supera torrenti e canali tramite dossi quasi da “montagne russe”... ma presto si entra decisamente in un'altra dimensione, attraversando l'uno dopo l'altro, piccoli agglomerati. E' un po' “un'altra” Toscana, differente da tutte le altre, forse una Toscana “del silenzio” - certamente diverso da quello della non lontana Verna - in cui parla una natura solare e insieme un po' ombrosa, soprattutto man mano che ci si appropinqua nella valletta. Guardandosi intorno, dove non domina il bosco, i dolci declivi della val di Chio sembrano quantomai adatti alla coltivazione della vite e dell'ulivo e in effetti lo sono davvero. Ma questa vocazione ha anch'essa una storia particolare, essendo stata in gran parte “rigenerata” da due giovani donne, Lidia e Roberta. Sfidando pregiudizi maschilisti, con un pizzico di temerarietà hanno, a partire dal '96, riavviato una tradizione che si era fermata con la morte del capostipite della famiglia, ottenendo nel tempo un crescente successo. Persone speciali, che credono in una missione positiva del settore, al punto da ospitare da qualche tempo anche esperienze di agricoltura sociale al fine di favorire, attraverso la pratica sul campo, il reinserimento nella comunità di soggetti svantaggiati, soprattutto autistici.
Alcuni casali dell'alta Val di Chio dal Passo del Belvedere
La Val di Chio la si abbraccia con lo sguardo dall'alto, quando, risalendone il fianco sinistro, si arriva a scollinare al passo del Belvedere dove la strada continua: una sorta di hic sunt leones verso altri luoghi ignoti da esplorare.
A proposito quanto è stata lunga questa deviazione? Ah sì, solo 12 km, sufficienti a scoprire l'ennesimo microcosmo italiano.

martedì 2 dicembre 2014

Sapri: "one hit wonder" per sito risorgimentale

"One-hit wonder", ovvero cantante noto al grande pubblico per un solo, formidabile, successo. Se dovessimo utilizzare lo stesso termine, ovviamente con il dovuto rispetto, anche nella poesia, allora Luigi Mercantini sarebbe a buon diritto nella schiera di chi è ricordato per un unico exploit. Per la verità, ce ne starebbe anche un altro, ovvero quello che risuona con il "Si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti" dell'Inno a Garibaldi!, ma non è paragonabile al pathos di...

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo al mattino a spigolare,
quando vidi una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore;
e alzava una bandiera tricolore...
Sì, la Spigolatrice di Sapri, questo il grande "hit" del poeta marchigiano di Ripatransone con il suo famosissimo incipit, è qualcosa che rimane impresso nella memoria, sebbene la poesia (e anche la storia) risorgimentale sia ormai divenuta un po' obsoleta nelle italiche scuole. Al di là di ogni considerazione relativa al rivoluzionario, sfortunato e un po' velleitario tentativo del patriota Carlo Pisacane e dei suoi "trecento" di affrancare il Meridione d'Italia dalla monarchia borbonica, è strana la sensazione che si prova in quel di Sapri, ritrovando i luoghi descritti in quella poesia.
La baia di Sapri (Campania) teatro della sfortunata spedizione di Carlo Pisacane
E' una cittadina nell'estremo lembo della Campania, al confine con la piccola porzione di Basilicata tirrenica, raccolta in una baia accogliente e piena di sole. Su uno scoglio, lo Scialandro, una sinuosa statua in vedetta rappresenta quella "spigolatrice", povera lavoratrice dei campi,
La statua che rappresenta la "Spigolatrice di Sapri"
scelta per il "punto di vista" del poeta. E' un vero contrasto, quello che associa questo paesaggio tanto accogliente (con acque limpide segnalate dalla "bandiera azzurra", proprio vicino alla statua) all'epica tragicità di quella poesia...
...Mi feci ardita, e, presol per mano,
 gli chiesi: «Dove vai, bel capitano?»
 Guardandomi, rispose: «Cara sorella...
vado a morir per la mia patria bella»...
Un luogo risorgimentale "strano" (anche se la località dello sbarco non fu precisamente qui) molto diverso da altri, dove sacrari, ossari, lapidi e altro, introducono il visitatore nell'atmosfera di una storia quasi percepita "in bianco e nero".
Nel 1952 anche un film prese spunto dalla vicenda di Sapri
Difficile pensare a quell'estate del 1857, quando la morte di quei giovani si abbracciò a una natura benevola: un connubio stridente cui spesso non si fa caso, ripensando a guerre o battaglie. Sensazione colta in pieno in tempi moderni in un'altra indimenticabile poesia in musica, la
Guerra di Piero, di un artista, certo non "one hit wonder", come Fabrizio De Andrè...
dormi sepolto in un campo di grano 
non è la rosa non è il tulipano
 che ti fan veglia dall'ombra dei fossi 
ma sono mille papaveri rossi”