venerdì 18 dicembre 2015

Gombola, resistenza umana al vecchio mulino

Era un termine in voga qualche anno fa, ora soppiantato dal più trendy "resilienza", però a me piace di più, specie in questo periodo natalizio, ripensando al Mulino di Gombola (Modena) uno dei pochi, se non il solo, nell'Appennino emiliano, a funzionare ancora (veramente e non a scopo didattico)  grazie all'acqua di un fiume, il Rossenna.
Gombola,  Appennino modenese
I fratelli Veratti, Bruna e Artemio, fratello e sorella ultraottantenni, sono un vero esempio di resistenza umana: fiera, consapevole, fors'anche un po' anarchica.
La mugnaia Bruna Veratti (dal doc. "Le vie dell'acqua")
Non arriveresti mai qui, se non grazie alla segnalazione di un autoctono: “Là si può trovare l'ultima farina macinata ad acqua”. Il paesaggio sulla provinciale che da Polinago conduce a Serramazzoni evoca tempi passati, specie quando appare, arroccato su un poggio, il piccolo borgo di Gombola che sembra fatto apposta per riportarti a quell'Italia affascinante e pericolosa di qualche secolo fa, tra passaggi di soldataglie e imboscate di banditi.    
Il Mulino di Gombola e...
Ma per arrivare al Mulino bisogna scendere nel profondo della boscosa valle, poco più all'interno di un ponte sul fiume. Una stradina sterrata conduce a questa sorta di eremo del lavoro. E solo dopo aver bussato un paio di volte ti accoglie Artemio. Bruna è un po' indisposta. Con gesti antichi, toglie la farina dall'ultima macinazione, la pesa e ce la porge. Rusticamente integrale, un po' come la vita in un luogo come questo. A un prezzo assolutamente irrisorio se si pensa solo alla tradizione di questo mulino, in funzione da cinque secoli, con un'esperienza e un rispetto della natura tramandati di generazione in generazione.

... l'antica ruota...




Prima che si ritiri al caldo, chiediamo ad Artemio se si può vedere la ruota. Eccola: e proprio ad osservar bene un particolare, non può che venirti in mente la "resistenza umana". Nel mozzo della ruota un' irregolare serie di zeppe di legno.
... che  non ha alcuna  intenzione di cedere
Non so quale funzione possano avere, se di rinforzo o altro... però questi pezzi di legno raccontano di una tensione a non cedere mai, di continuare finché si può, anche senza mezzi, senza nessuno che ti aiuti. E, tornando a casa, ritrovo il mulino in un bel documentario sul solito you tube, dove si racconta la storia dei due vecchi eroi.
Poco dopo incontriamo ancora Artemio nel negozietto di alimentari vicino al ponte... forse per spendere i nostri pochi euro di farina in qualcosa da mangiare per la sera.
Un piccolo mondo, lontanissimo dai ripetitivi e mielosi riti consumistici delle feste che ormai mi sono insopportabili, da quella fregola prenatalizia che sembrerebbe ora corroborarsi nella famosa - e supposta - miniripresa italiana. Ripenso a loro, alla voce del fiume, all'unica stanzetta riscaldata, a quella specie di antro imbiancato dalla polvere di farina e la associo a un presepio autentico, di quelli che tra poco non ci saranno più, confinati nella memoria di chi almeno ha avuto la fortuna di averli conosciuti.

giovedì 5 novembre 2015

Tortora, "le ali del Sud" alle porte della Calabria

Quella sera dormii a Lauria, uno degli ultimi e più pittoreschi villaggi della Basilicata. L'indomani entrai definitivamente in Calabria. L'approccio da questa parte è davvero formidabile e conforme a tutto ciò che avevo sognato di più agreste e severo. Una gola stretta, scoscesa, tortuosa, serpeggia tristemente tra due vaste catene montuose, di cui una appartenente alla catena di Pietrasasso, l'altra a quella del Pollino, la più alta, alpestre e primitiva della Calabria...
Questo è l’ingresso e, per così dire, l’anticamera della Calabria. C’era certo di che sgomentare le immaginazioni più timorose; ma avevo presente il sesto canto dell’Eneide e sapevo che l’Inferno è l’anticipazione dei Campi Elisi.... Anche il tempo era migliorato e un magnifico arcobaleno cingeva le montagne, quasi a dirmi che era finito l’Inferno e stava cominciando l’Eliso; come Noé, ebbi fiducia in Dio e proseguii coraggiosamente il pellegrinaggio”.
Tortora (Cosenza), 300 metri s.l.m., centro storico
Non credo che lo scrittore ginevrino Charles Didier (1805-1864, dal cui "viaggio in Calabria" sono tratti questi brani) sia mai stato a Tortora (anche perché da Lauria proseguì verso l'interno) ma... non importa. Questa descrizione mi va bene lo stesso. Sia perché quando da Lauria (sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria) si scende per la stretta valle del fiume Noce e, solo verso la fine, il cuore ti si apre alla vista del mare di Calabria, le sensazioni provate non sono così diverse, sia perché incarna quello spirito del viaggio romantico nelle terre italiche, sicuramente un po' obsoleto e ottocentesco, però ancora affascinante.

Per la verità Tortora, primo paese della Calabria tirrenica, appena dopo la lucana Maratea, è un paese "diviso" in due: sulla costa la Marina e, più in alto, il centro storico. E già qui c'è un bel contrasto. 
Perché il centro storico, pur situato a solo sei km dal litorale è già un "altro mondo", in cui il mare funge da deuteragonista.
Ed è la malìa del borgo "alto", dal carattere già montano, appollaiato su un costone roccioso proprio come un uccello, che mi ha fatto sognare di essere non il classico turista agostano, ma il viaggiatore alle prese con le gioie della scoperta.
Ciò che è osservato influenza l'osservatore ma, forse, è anche vero il contrario. Non è che Tortora, aspettando la mia visita, si sia trasformata, come in un sogno, per farmi vedere ciò che io mi aspettavo di vedere? Appena arrivato in paese, il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato: "Questo sembra uno dei classici paesini del Meridione immortalati in qualche vecchio film della mia infanzia, in bianco e nero, nel momento in cui passa Garibaldi, liberatore del Regno delle due Sicilie". Ebbene, Tortora, cosa ha fatto?

Mi ha fatto sbagliare strada per il bed and breakfast degli impareggiabili Biagio e Alfonsina e mi ha portato in una piazzetta dove ho potuto leggere quello che la mia mente mi aveva suggerito qualche istante prima: "In memoria di Giuseppe Garibaldi che di passaggio sostò in Tortora, ospite della famiglia Lomonaco il 3.9.1860". Luogo magico, dunque? Non so, ma certo un generoso "scambio di energia" tra il paese e il nuovo venuto, c'è stato subito.
Le "ali" di Tortora, viste dal borgo di Aieta

Tornando ai film dell'infanzia, davano un "senso del Sud", quello profondo, magari legato a luoghi comuni, ma indimenticabile per un bambino di un mondo ancora piccolo, in cui l'Italia era grande... quando con la famiglia spingersi fino al centro della Penisola era già una piccola avventura. Molte cose saranno cambiate a Tortora, da quegli anni o forse no... certo non ho potuto indagare più di tanto. 
Ma quello che si percepisce è netto: il sapore di una terra ancora in gran parte incognita nel vero senso della parola, sospesa tra un altrove che si può solo immaginare al di là delle scabre montagne che chiudono l'orizzonte del paese e il rassicurante orizzonte del litorale. Un ricordo più recente mi fa venire ancora in mente il Sud, celebrato in un fortunato tormentone (oggi si direbbe claim) pubblicitario: "Il primo sorso affascina il secondo Strega" (riferito al noto liquore beneventano, inventato, guarda caso, ai tempi della conquista di Garibaldi). Così Tortora, discretamente, a poco a poco ti ammalia.
La facciata "antropomorfa" della chiesa delle Anime del Purgatorio
Con architetture quasi antropomorfe, come la chiesa delle Anime del Purgatorio, con un piccolo ma ricco e interessantissimo museo interattivo sui segreti dell'antica città italica e romana di
Julia Blanda (destinata tra poco a diventare parco archeologico) con sapori totalmente inediti (perlomeno per me) come la zafarana, tipico e dolce peperone locale che generosamente entra in una gastronomia locale "di terra"  dal sapore antico: dalla pasta fatta in casa (indimenticabili lagane...) fino ai profumi, 
insieme forti e delicati, sprigionati al taglio dei capocolli.

E addirittura fornendoti una visione notturna, quella di un incendio alimentato dal vento (di cui certo si sarebbe fatto volentieri a meno), del tutto coinvolgente nella sua infernale scenografia. Ma la cosa che più rimane impressa di Tortora è il notare che il "cuore" del paese batte ancora, soprattutto nelle prime ore del mattino, quando le viuzze del villaggio si aninamo delle vivaci chiacchere del vicinato, delle quali, ovviamente, non capisci nulla, ma è come una colonna sonora che ti riporta sempre là, a quel Sud della memoria, immaginato da bambino. Saranno pure solo emigrati ritornati al borgo natio per le vacanze, sarà una cosa che può piacere a pochi... ma non importa... è una sensazione di umanità viva e autentica. Che pure in questo caso Tortora, indagando nel mio cervello, si sia magicamente trasformata, per farmi vivere ciò che volevo?

venerdì 30 ottobre 2015

La "grazia" delle acque... in un angolo di pianura

Sparite le foreste, bonificati stagni e acquitrini, livellati i dossi... forse l'unica primigenia caratteristica naturale della Pianura padana a salvarsi, prima delle radicali trasformazioni del territorio operate dall'uomo, lo deve al fatto di essere sottoterra. Dal Piemonte al Friuli, il filo rosso, anzi, azzurro, che "lega" tutte le regioni del nord, è la fascia delle risorgive. L'acqua, penetrata negli strati permeabili dell'alta pianura, scorrendo per chilometri e chilometri, dopo essere "sparita" nel sottosuolo, entra infine in contatto con le coltri argillose della bassa pianura, e così, trovando un ostacolo, è costretta a tornare in superficie. Una "spiegazioncina" che un tempo faceva anche la maestra delle elementari nell'ora di "patria" geografia.
Nel "mare" delle risaie, il Santuario della Madonna della Fontana a San Nazzaro Sesia (No)
Proprio nella mia zona, tra Sesia e Ticino la fascia delle risorgive, in genere larga dieci-venti chilometri, raggiunge la sua massima lunghezza, più di 60 km, partendo dalle colline a sud dei laghi e arrivando a lambire il Po.
Ciò che succedeva nei secoli passati nella Bassa allo scaturire dell'acqua ipogea lo raccontano cronache, un po' iperboliche, che descrivono addirittura l'improvvisa apertura di pericolosi baratri nel terreno dovuta a robusti zampilli d'acqua con conseguenti allagamenti delle campagne circostanti. Proprio questi impaludamenti hanno fatto sì che le risorgive sono state, in verità, in qualche modo "manipolate" dall'uomo: a partire dal XIV secolo le acque di queste polle naturali sono state infatti regimentate nei "fontanili" o "fontane", per poi essere utilizzate per irrigare le campagne.
La facciata del Santuario
Così si faceva un profondo scavo, la "testa" - più o meno tondeggiante, dal diametro di parecchi metri, ben protetta da ripe costruite col materiale di riporto - attorno al punto di affioramento delle acque. Poi, tramite un fosso, "l'asta", si canalizzava l'acqua verso i campi. In genere l'area della "testa" era circondata da un'area piantumata con alberi e siepi. Ovviamente il sistema poteva funzionare grazie a un continuo intervento di manutenzione dei contadini. Ed è stata proprio l'acqua dei fontanili a far nascere, nella pianura lombardo-piemontese, la pratica delle "marcite", che permetteva anche in inverno la crescita dei foraggi per lo scorrere continuo dell'acqua, relativamente calda (12°), che impediva il congelamento dei prati. Oggi quella tradizionale pratica è pressoché scomparsa e i fontanili non è che se la passino proprio bene: non più curati come un tempo, a volte ormai interrati o degradati, talvolta trasformati in piccole riserve di pesca. Ci sono, è vero, recuperi virtuosi, specie negli ultimi decenni, ma c'è pure un caso di una "risorgiva - fontanile" che si è salvata da se stessa.
L'altare...
Sulla sua scaturigine dalle profondità, infatti, è stato costruito il santuario della Madonna della Fontana, nei pressi di San Nazzaro Sesia (Novara).E' una costruzione isolata, nel mare delle risaie, risalente al XVII-XVIII secolo. Immagino però che a questo luogo, e alle sue limpidissime acque, si sia assegnata fin da tempi pagani una capacità taumaturgica, assorbita dal cristianesimo e celebrata in tempi relativamente recenti dal ricordo di eventi miracolistici, prodigiosi o di semplici "grazie".
... e, sotto, la risorgiva
Una leggenda racconta che il tempio fu edificato perché un'immagine mariana, posata su un albero da un venditore di quadri che voleva riposarsi in un caldo pomeriggio, non volle più staccarsi da questo sito di acque pure e lustrali, malgrado i tentativi per recuperarla. Una dinamica leggendaria che accomuna questo sito a decine di altri santuari sparsi in tutt'Italia dove tante icone hanno "rifiutato" di spostarsi. Comunque, ci si avvicina al luogo con dovuto rispetto. Anzi, con capo chino, come avverte un antico avviso su una parete del santuario, sotto la quale sbuca verso l'esterno l'acqua.
... l'acqua sbuca poi all'esterno della chiesa

Sulla facciata della chiesa, invece, campeggia il motto di una piccola meridiana, con una frase citata anche da Sebastiano Vassalli nella “Chimera”: "Tempora metimur sonitu, umbra, pulvere et unda, nam sonus et lacrima, pulvis et umbra sumus" ovvero... "misuriamo le ore col suono e con l'ombra, con la polvere e con l'onda, perché noi stessi siamo polvere e ombra, rumore e lacrime...".
Dopo aver meditato un attimo sul duro ammonimento, pure al meno pio viene quasi naturale abbeverarsi all'acqua "benedetta", anche perché qui, in piena Pianura Padana, non è poi  facile trovarla così "naturalmente" limpida e pura. E una volta esaurita la sua funzione sacra, la risorgiva si laicizza, diventando fontanile, andando a donare una grazia terrena ai campi sottostanti, tuttora irrigati da quest'acqua.

lunedì 19 ottobre 2015

Aieta,un nido rinascimentale per l'aquila calabra

Come ogni aquila che si rispetti, ha scelto il luogo adatto per fare il nido a mezza costa, al di sotto del territorio di caccia. Aieta, dal greco aetòs, appunto "aquila", se la osservi da Tortora, la vedi là in alto, vicina ma quasi irraggiungibile.
L'aquila, simbolo di Aieta



E infatti i due paesini sono a pochissima distanza in linea d'aria (ovviamente... trattandosi di "volatili") mentre per raggiungerla in auto bisogna scendere a mare e poi risalire una tortuosa ma meravigliosa strada panoramica.
Aieta (Cosenza), vista dal paese di Tortora
E' una visione, quella di Aieta "dal basso" che incuriosisce immediatamente, nel notare la sproporzione tra le casette addossate al monte e un enorme palazzo in pietra grigia. Bisogna assolutamente andarci per scoprire l'arcano di un paese che, tra l'altro, fa parte dell'associazione "Borghi più belli d'Italia".
Come sempre si rischia che le impressioni di un luogo siano "inquinate" dall'euforia vacanziera, ma è anche bello fare uno sforzo di concentrazione per astrarsi dal contesto, cercando di fissare quello che ti racconta (o che vuoi che ti racconti) un villaggio come questo. Ma per prima cosa cerchi il grande palazzo che riempie in maniera così importante lo spazio urbano.
Il palazzo rinascimentale di Aieta
E lo trovi... aperto, oltretutto in orario quasi serale! Già questo è motivo di soddisfazione, che diventa poi vero guibilo nello scoprire che hai anche una guida (oltretutto gratuita) a disposizione. E pure preparata e puntuale nello spiegarti la storia della magione nobiliare durante la visita ai vari ambienti. E così ti si svela un raro, forse unico, angolo di Rinascimento in piena montagna calabra: una dimora gentilizia cinquecentesca su tre piani, negli ultimi decenni salvata da un progressivo degrado, recuperando anche interessanti affreschi decorativi, oggi divenuta monumento nazionale. Nella facciata esterna si apre il "fiore all'occhiello" del palazzo: un meraviglioso loggiato dal quale i Martirano prima e i marchesi Cosentino poi si godevano in piena tranquillità la vista del mare... mica scemi!
Tramonto su Tortora e sul Mar Tirreno dal loggiato del palazzo
Un paese che ti dà l'impressione di essere nobile e popolare insieme, con "antichi" negozianti che ti invitano nel loro modesto ma dignitoso negozio che vende un po' di tutto ed elegantissimi portali scolpiti in pietra che si aprono nel dedalo di linde viuzze.
Arte tra le vie del borgo...
Ci si prepara per il concertino serale in piazza del Municipio
Ti domandi: "Come si vivrà qui, passato il periodo estivo?". E così, sul far della sera, lasci Aieta, rimpiangendo il fatto di non avere un tot di vite a disposizione per provare l'esperienza e con un sapore salato-dolce in bocca (forse lo stesso del tipico prosciutto locale, vera delizia per le papille gustative) sapendo che probabilmente non ci tornerai più... ma non si sa mai.

giovedì 15 ottobre 2015

Ceriana, i colori segreti di un “paese-tabellina”

Aggrappata, quasi nascosta a un contrafforte della valle Armea, a una decina di chilometri dal mare (che però non si vede) Ceriana, entroterra sanremese, ha il fascino di quei luoghi-tentazione dove per un attimo pensi: "Se mi rifugio qui non mi beccano più... e mi invento anche un'altra identità".
Passato ormai il - relativo - bailamme del periodo estivo, il paese, poco più di milleduecento anime, non tarda a presentarsi per quello che è: un piccolo scrigno di sorprese.
Il paese di Ceriana, in valle Armea (Imperia)
Un po' ritroso ad aprirsi, per la verità, come del resto è nel carattere dell'entroterra ligure.

Dove si indovina, addentrandosi nei carrugi, la stratificazione delle epoche, a partire dai resti del castrum romano sopra il quale si costruirono una solida cinta muraria e camminamenti per difendersi dalle incursioni dei "soliti" saraceni nel medioevo, accolti a pentolate di olio bollente gettate dalle tante caditoie presenti.


E dove ci si sorprende per un numero di chiese, oratori e cappelle sproporzionato in relazione agli abitanti (perlomeno quelli di oggi) del borgo.
Visitazione: l'oratorio degli "Azzurri"
Anzi ogni chiesa ha un suo... partito. Neri, Verdi, Rossi e Azzurri (sì... anche loro), sono infatti le antichissime confraternite cerianesi (che resistono ancora oggi, con tanto di riti di iniziazione dei novizi) cui erano associati vari luoghi di culto.
Oratorio di santa Caterina, dei "Rossi", e la chiesa di S.Spirito

E poi una chiesa parrocchiale tardo barocca, imponente, che domina su tutto. Quasi "incredibilmente" aperto in una domenica pomeriggio di metà settembre, il grande tempio svela al suo interno un misconosciuto capolavoro cinquecentesco (messo lì un po'... così): un polittico con San Pietro in Cattedra, di autore ignoto. Nella predella miracoli di Gesù con un fil rouge "acquatico", tanto per ricordarci che siamo in Liguria.
La parrocchiale tardo barocca di Ceriana e, sotto, il prezioso polittico

Poi ci si addentra nei carrugi, dove, come accade spesso in luoghi come questi, incontri più gatti che abitanti, che invece ti sembra indovinare atti a sbirciare i "foresti" dall'alto, protetti alla vista dalle feritoie delle tipiche imposte liguri o assopiti in una silente quiete postprandiale.
Gallerie e camminamenti coperti a Ceriana

A ogni svolta, ripidissimi e strettissimi anditi che si aprono improvvisamente sembrano perdersi nel nulla, come il "carrugio della Pena" (nomen omen)                                    
Salendo verso.... l'ignoto "du carugiu da pena"
mentre camminamenti coperti dominano la valle: insomma un labirinto dove davvero... sparire è facile.

Lungo la strada che riconduce a Sanremo, la sorpresina finale. Qualcosa che non avevi notato salendo, perchè in posizione, "naturalmente", quasi nascosta.
L'insegna del... paese-tabellina
Ovvero una di quelle magnifiche e vetuste insegne smaltate della benzina Lampo di un' Italia che fu, ormai quasi scomparse (o “involate” da qualcuno) che recita: "Ceriana m. 369 s/m" - giustamente infissa presso il numero civico 3 - proprio come la prima sequenza, dalla cadenza un po' esoterica, della tabellina del numero perfetto. E in effetti lasci questo luogo con un "gusto" strano negli occhi, quasi con la convinzione di aver sfiorato qualcosa di enigmatico, celato, da cercare nel sottofondo del piccolo scrigno cerianese.

venerdì 31 luglio 2015

Agogna, il torrente più lungo d'Italia (2° puntata)

Dalla città di Borgomanero verso nord, l'Agogna assume via via i connotati di un vero e proprio torrente alpino... ma a Briga Novarese ecco la sgradita sorpresa annunciata la settimana scorsa: su un cartello si legge inequivocabilmente la dicitura "Fiume Agogna". Ma come, e tutti i discorsi fatti finora?
Rimanendo alla metafora calcistica cambierebbe il risultato, 2-1 per l'Agogna torrente più lungo d'Italia. Però mi sembra un gol nettamente in fuorigioco e quindi, come arbitro (clamorosamente parziale) lo annullo senz'altro. Sarà stata la svista di qualche addetto poco attento.


Chiuso l'incidente... da Briga in poi l'Agogna "risale" quasi completamente immersa tra i boschi, diventando, tra l'altro, un ottimo percorso scuola per canoisti. Ho bypassato questo tratto poco accessibile per ritrovarmi, poco dopo, di fronte a un idilliaco e discosto villaggio rurale, Pezzasco, accolto dall'abbaiare di cani, senza peraltro veder anima viva (e dire che siamo a pochissimi km da Orta San Giulio, brulicante di turisti). Eppure ci abiterà qualcuno, a giudicare dal groviglio di fili elettrici che deturpano il paesaggio.
Immerso nel verde, il villaggio di Pezzasco








Dove saranno i villici? Il torrente qui è estremamente pulito e invitante in una giornata estiva e Corinne non si fa pregare un secondo per mettere al fresco le sue zampine,
non lontano da un'antico e scenografico ponticello in pietra, immerso nel verde.
Il ponte in pietra sul torrente, presso Pezzasco
Più avanti il torrente risale ancora verso la sua origine deviando nettamente a destra, prima del paese di Armeno, per il suo ultimo (o meglio... primo) tratto, noto come "Valle dell'Agogna" . Qui il suo percorso è seguito, più o meno, da una strada che collega Lago d'Orta e Lago Maggiore e che, da tempo immemorabile, è quindi detta "Delle Due Riviere".
Fienagione nella valle dell'Agogna
Eppure non è che sia granché frequentata... meglio così. E anche l'ambiente è rimasto quello che mi ricordo fin da bambino, punteggiato da vetusti cascinali, tra boschi e pascoli, dove ancora qualcuno, fortunatamente, resiste a presidiare il territorio dall'abbandono. L'Agogna si fa sempre più spumeggiante torrentello di montagna e oramai volge lo sguardo versi i più ripidi pendii di suo "padre", il Mottarone, dove, a circa 1100 metri, tra l'Alpe Nuovo e l'Alpe della Volpe zampillano, da diverse sorgenti, le sue prime acque, quelle stesse (magari un po' meno pure) che, dopo un viaggio di 140 km, si getteranno nel Po. Accompagnato da Corinne e sentendomi un po' come Livingstone, mi sono messo alla ricerca delle sorgenti dell'Agogna, in fondo un po' il mio “Nilo”.
Il primo impluvio dell'Agogna...
E così ci siamo addentrati in una fitto bosco, a ridosso della provinciale del Mottarone, dove si apre una valletta appena accennata che accoglie il primigenio impluvio del torrente e, qualche decina di metri più in alto, la sua sorgente... Giunto alla fine, o all'inizio... allora c'è o non c'è questo primato? Secondo me sì, e se si va a spulciare wikipedia alla voce Agogna, è classificata come torrente... ma una noticina avverte "nonostante le caratteristiche di fiume", noticina forse aggiunta per giustificare il fatto che figura anche nella "classifica" dei fiumi. E allora come si esce dal dilemma?
...e finalmente, sotto una roccia, la sua sorgente
 Qualcuno ha tentato di risolverlo già molto tempo fa, addirittura un senatore del Regno di Sardegna, l'avvocato Giacomo Giovanetti (1787-1849) tipo molto esperto di acque che, per tagliare la testa al toro, dopo averne studiato le caratteristiche, definì l'Agogna "fiume-torrente". E qui potrebbe partire un'altra classifica, anche questa tutta da scrivere... ma io preferisco, in attesa di smentite, tenermi la mia...

martedì 14 luglio 2015

Agogna, il torrente più lungo d'Italia (1° puntata)

Trovare una piccola falla nelle articolate e illimitate informazioni della rete su uno degli innumerevoli interrogativi che possono balenare improvvisamente in mente è quasi impossibile. Forse, e sottolineo forse, sono riuscito nell'impresa, mettendo ovviamente in conto di essere clamorosamente smentito. Non ho finora trovato traccia infatti di un'ipotetica classifica dei torrenti più lunghi d'Italia. Lacuna di "enorme" importanza (... si fa per dire, eh!) scoperta grazie a quella punta di spirito campanilistico che alberga in ogni italiano. E chi occupa - secondo me - al primo posto, ovviamente è delle mie parti...
Il torrente Agogna presso la sua confluenza nel Po
Il torrente in questione si chiama Agogna e scorre tra Piemonte e Lombardia, attraversando le province di Novara, un "pezzettino" di Vco,  e di Pavia,  raggiungendo la ragguardevole lunghezza di 140 km, dalle sorgenti alle falde del Mottarone fino alla sua confluenza nel grande Po. Per la verità se andiamo a vedere la classifica dei fiumi d'Italia, l'Agogna è inserita al 28° posto assoluto... ma allora è un fiume? Assillato da questo amletico dilemma, cui  tenterò di dare una risposta definitiva nella prossima puntata, mi sono messo in mente di seguire o meglio di inseguire il corso del torrente a ritroso, saltabeccando qua e là e risalendo fino al suo scaturire... così, tanto per togliere un po' di anonimato al corso d'acqua più tipicamente legato ai miei campanili. Scoprendo che poi così anonimo non è.
Nei pressi di Balossa Bigli...
In un'estate pazzescamente calda, sfidando zanzare e moscerini di ogni specie, cartina alla mano, ho cominciato quindi dal fondo, presso un piccolissimo villaggio dal nome improponibile: Balossa Bigli (frazione di Mezzana Bigli) in provincia di Pavia, sulle rive del Po.
E' lì, quasi mimetizzata in un boschetto, che si raggiunge, con un po' di fatica, la confluenza dell'Agogna nel Po. Confluenza quasi timida, al cospetto del grande fiume. 
... l'abbraccio col grande fiume
Eppure ci fu un periodo della storia in cui, geo-politicamente parlando, il piccolo torrente visse un attimo di notorietà: quando, in epoca napoleonica, a qualcuno venne in mente di battezzare le divisioni amministrative con i nomi dei corsi d'acqua, noti o meno noti che fossero.  
Ed ecco,  tra il 1800 e il 1814, la stagione del Dipartimento dell'Agogna, territorio che comprendeva le attuali province del Vco e di Novara e parte di quella di Vercelli e di Pavia.
L'Italia napoleonica dei dipartimenti "fluviali"
                        Chissà perché  "Dipartimento dell'Agogna" e non del - ben più importante - "Ticino"? 
Mentre mi pongo questo interrogativo senza risposte, vagando tra le stradine della plaga risicola Lomellina e risalendo il corso d'acqua, incontro  un piccolo gioiello architettonico - ovviamente chiuso - che quasi si appoggia sulle sue rive: la Pieve di Velezzo con il battistero romanico del XI secolo, non a caso situato vicino all'acqua. Non lontano da questo luogo dimenticato, il paese di Lomello, che dà nome a questa terra, con il complesso monumentale di Santa Maria comprendente la basilica e un altro magnifico battistero paleocristiano.

Tra le risaie e il torrente, la Pieve di Velezzo
Non male le sorprese dell'Agogna...

Si prosegue verso nord con una quasi impercettibile salita verso la pianura novarese, dove l'Agogna scorre libera, capace di sorprendere la campagna con le sue impetuose piene, erodendo inesorabilmente rive che si rivestono di inusitata wilderness, se si pensa che si è a pochissimi chilometri da Novara.
L'Agogna a Monticello, a pochissimi km da Novara

Già, il centro più importante lambito dal torrente. Quell'Agogna amatissima dai novaresi, specie quelli "di una certa età" che ne esaltano, un po' nostalgicamente, lontane stagioni di rinfrescanti bagni estivi, pesche miracolose, amori adolescenziali sbocciati sulle sue rive e, addirittura, presunte saluberrime proprietà... se è vero che qui sorgeva una colonia elioterapica per i bambini, attiva addirittura ancora per molti anni nel dopoguerra.
La colonia elioterapica, come si presenta oggi
A proposito, mettendo al bando i sentimentalismi, e tornando al dilemma di partenza, non posso non notare che fino a questo punto in tutti i luoghi dove ho varcato ponti sull'Agogna, i cartelli toponomastici non hanno avuto dubbi: "Torrente Agogna". Del resto anche su tutte le cartine moderne non ho mai trovato associata la definizione "fiume". Bene, 1 - 0 
per l'Agogna come torrente più lungo d'Italia, anzi 2 - 0 (tenendo pure conto che scorre proprio dietro lo stadio intitolato a Silvio Piola). Proseguo nella mia ricerca puntando decisamente verso nord, nell'alta pianura novarese, dove già si intuisce nettamente, malgrado la foschia,  la vicinanza con le montagne. L'Agogna scende con un fare tipico da understatement piemontese, tenendosi a "distanza di sicurezza" dalle principali direttrici stradali, quasi a voler ricordare i tempi di antichi guadi ormai scomparsi e ritornando "protagonista" solo a Borgomanero, dove si insinua nel centro della cittadina, ormai in vista del Mottarone. Poco più in là, il paese di Briga Novarese, dove mi attende una sorpresa, un po' sgradita.