martedì 25 novembre 2014

Aspettando la fine dell'ultima ora di... Barga

Alla ricerca di location letterarie... A volte sovvengono i tempi del liceo, molti anni fa, alle prese con estenuanti lezioni, cosiddette "frontali", con insegnanti dalla voce monocorde... tutti a testa bassa a scrivere appunti che, a sua volta, la "prof" stessa pedissequamente traeva dalle elucubrazioni di una miriade di noiosissimi critici. L'Ottocento italiano: Leopardi e Manzoni, Manzoni e Leopardi e ancora Leopardi e Manzoni (per quest'ultimo... appuntamento al prossimo post).
Qualche volta si intrufolava nei monologhi anche un Carducci o un Pascoli, ma quasi di "sfroso"... evidentemente non erano molto simpatici alla suddetta, che li liquidava in breve. Nelle ultime ore della mattinata  la mente tentava di sfuggire lontano, di volar fuori dalla scuola, libera.

Ma a che cosa serviva tutta questa poesia da studiare, tutti questi autori? Ogni tanto c'eri e ogni tanto non c'eri.
Il poeta Giovanni Pascoli
La mano era ormai anchilosata nel prendere appunti e talvolta sul foglio apparivano frasi sbocconcellate, ormai sconnesse. Un giorno, l'ultima ora di un soleggiato sabato di marzo, coincise con un'altra ora... quella di Barga. Ma che cosa era mai questa Barga?

Al mio cantuccio, donde non sento 
se non le reste brusir del grano, 
il suon dell'ore viene col vento 
dal non veduto borgo montano: 
suono che uguale, che blando cade...
Dunque Barga era un "non veduto" borgo montano... Bello sarebbe essere adesso in montagna - pensavo - mentre la "prof" proseguiva imperterrita la monocorde lettura, intervallata dalle chiose del critico letterario Tizio o Caio.
...E suona ancora l'ora, e mi manda 
prima un suo grido di meraviglia 
tinnulo, e quindi con la sua blanda 
voce di prima parla e consiglia...

e... finalmente la campana, quella della scuola, suonò davvero il termine dell'ultima ora e quella poesia rimase così a metà, lasciando insoluto un quesito... ma dov'era 'sta Barga? E poi la "prof" non aveva detto che il "rifugio" del Pascoli era in quel di Castelvecchio?
Solo da "grandi" si possono capire certe cose e, finalmente, entrare in contatto con i luoghi d'ispirazione dei poeti e rileggere quei passi, questa volta in piena libertà e senza che nessun professore o critico letterario tenti di plagiarti con la sua più o meno personale e più o meno attendibile versione.
La torre campanaria del Duomo di Barga (Lucca) ispiratrice della poesia pascoliana
E si capiscono molte cose quando, da un lato a un altro di una valle giunge il suono di una campana e ci si ferma ad ascoltare. Ci si ferma. Perché è questo che bisogna fare, captando i suggerimenti dei propri sensi e della natura circostante. Si immagina, e sarà un'immaginazione certamente diversa da quella che il poeta tentava di trasmettere con i propri versi... ma non importa, è bello lo stesso. Così, risalendo la valle del Serchio, sopra Lucca, la reminiscenza scolastica non può che indurre a fermarsi in un piccolo borgo, Castelvecchio Pascoli, dove il poeta si illudeva di aver ricostruito, in mezzo alla natura, il suo "nido" natio di San Mauro, in Romagna. E' da qui, dalla sua casa, ora trasformata in museo, che si deve tendere l'orecchio, verso la torre  campanaria di Barga... ritrovata e riconosciuta, e finalmente si può entrare in sintonia con l'ispirazione poetica, quella che tanti anni prima sfuggiva inesorabilmente a uno studente liceale... ma anche alla sua "prof"...
...E suona ancora l'ora, e mi squilla 
due volte un grido quasi di cruccio, 
e poi, tornata blanda e tranquilla, 
mi persuade nel mio cantuccio: 
è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo 
dove son quelli ch'amano ed amo. 


mercoledì 19 novembre 2014

Ricette e campanile... sfida con riso, sul confine del “paniscia-graben”

Anche un paio di letterine possono fare la differenza... Nell'Italia degli ottomila comuni, dell'orgogliosa rivendicazione di tradizioni locali, del guardarsi in cagnesco tra dirimpettai, non possono certo mancare dispute di campanile su un patrimonio di grande importanza nel nostro pese come quello del cibo. Lotte al coltello (e anche... alla forchetta, al cucchiaio e cucchiaino) per dimostrare di essere migliori del proprio vicino.
Spighe mature di oryza sativa, il riso
Partiamo dalla Svizzera... Cosa c'entra la Svizzera? Ebbene, anche nella vicina Confederazione le "frammentazioni" non mancano, figlie naturali della plurinazionalità e del multilinguismo. Una di queste divisioni, la più nota, quella tra la Svizzera tedesca e la Svizzera francese ha preso il nome, guarda caso, dal tipico piatto a base di patate della regione germanofona, i rösti. E quel solco, il rösti-graben (fossato del rösti) - citato spesso dai media per rimarcare differenze più o meno sensibili tra le due etnie maggioritarie in Svizzera, dal punto di vista della mentalità o delle scelte elettorali o politiche - addirittura si identifica in un 
"confine" geografico che corre lungo la valle del fiume Sarine (in tedesco Saane) nel canton Friburgo (ovviamente bilingue). Detto questo, e prendendo a prestito la vicenda, quanti graben, grandi o piccoli, profondi o meno, abbiamo in Italia nel segno del cibo e delle preparazioni gastronomiche? Domanda a cui davvero è impossibile rispondere. Mi limito a citare quello di mia diretta conoscenza, il "paniscia-graben" che vede contrapposte fieramente due comunità (ovviamente) assai vicine: Novara e Vercelli. A Novara si fa la paniscia, a Vercelli la panissa, entrambi gustosi primi della tradizione culinaria popolare a base di riso. Ora, andando a spulciare qua è là in rete si leggono ricette, in entrambi i casi, con mille varianti (come spesso succede per preparazioni non “codificate”) e pareri, più o meno dotti, sulle similitudini o le differenze di questi due piatti.
Paniscia novarese dell'osteria dei Gatt di Lumellogno (Novara)
Addirittura alcuni autorevoli esperti sostengono, a torto, che due risotti siano sostanzialmente uguali. Affermazione quanto mai blasfema sia alle orecchie di un novarese che di un vercellese. Quali sono le differenze dunque? Tenuto conto dei segreti personali di ogni chef o casalinga/o, e quindi senza sconfinare nel "campo minato" della preparazione e dei dettagli, soprattutto riguardo al soffritto (in genere lardo e
salam d'la duja, ovvero salame sotto grasso a Vercelli, lardo e mortadella di fegato, a Novara) la panissa vede, tra gli ingredienti aggiuntivi al riso, la presenza preponderante dei fagioli; nella paniscia trovano posto invece  più verdure in diversa quantità, come verze, sedano, porri e, secondo i gusti personali, altre ancora. Si dirà, ben poca differenza. E invece no! Un palato appena attento coglie senz'altro una sensibile diversità nel gusto. Ma tornando al nostro "paniscia graben", anche quest'ultimo può coincidere con un elemento geografico, nella similitudine con l'omologo elvetico? Al posto del fiume Sarine, potremmo metterci, a questo punto, un altro fiume, il Sesia (che guarda caso a Vercelli chiamano diversamente: "la Sesia" e, in passato, è stato davvero un confine storico) che separa grosso modo le due province, contrapposte peraltro, come si conviene al "dna italico", da accese e antiche rivalità, soprattutto nei vicinissimi capuologhi. Ma, così come succede in Svizzera per il rösti-graben, è una scelta per comodità e convenzione, proprio perché esistono aree di "ibridazione"... senza contare che nella vicina Valsesia esiste pure, sempre a base di riso, la panizza
Una domanda però rimane nella… fondina: quale delle due preparazioni è la più buona? De gustibus, anche se, ovviamente per spirito di campanile, la mia scelta non può essere che una... e, per me, ciò che dà quel tocco in più nel legare ed esaltare al meglio tutti gli ingredienti è l'umilissima verza, meglio se già ammorbidita dalle prime brine invernali. A proposito, per assaggiare una vera paniscia novarese dove andare? Al di là delle rivisitazioni della ricetta popolare di luoghi più o meno chic, preferiamo una versione ruspante come quella dell'osteria dei Gatt di Lumellogno, frazione "contadina" di Novara. Paniscia e panissa: anche un paio di letterine possono fare la differenza...

lunedì 3 novembre 2014

Quell'effimero valore aggiunto del paesaggio padano: le "rotoballe"

Dalle Alpi al Lilibeo - come si diceva una volta - ovvero in tutt'Italia, i paesaggi rurali hanno vissuto, una ventina d'anni or sono, un sorta di cambiamento epocale da "seconda repubblica". Mentre impazzava tangentopoli, la "rivoluzione" dei campi era affidata non a qualche pubblico ministero ma alle... rotopresse. Macchinari un po' inquietanti al traino di trattori che, in men che non si dica, "sfornano", perfettamente imballate in film plastici, enormi balle a forma di tronco di cilindro: le rotoballe, appunto.
Rotoballe a Mosezzo (Novara)...



Paglia di frumento o di riso, fieno e foraggi non fa differenza... il paesaggio rurale in pochissimo tempo cambia radicalmente aspetto, punteggiato da questa sorta di menhir vegetali che a volte vanno a sostituire più prosaiche balle a parallelepipedo. Sì perché, non si sa come, queste rotoballe danno un tocco di poesia in più al paesaggio: chissà, forse sarà la loro somiglianza a grosse biglie per qualche... passatempo di un gigante, arrivando a pesare anche oltre tre quintali.
...e a Palazzolo Acreide (Siracusa)

Fatto sta che se solo si immette la parola "rotoballe" in "ricerca immagini" di google, ci si accorge ben presto della profonda differenza tra quelle a parallelepipedo e quelle rotonde... nel senso che queste ultime, le nostre rotoballe, danno ispirazione a una miriade di fotografi (con tanto di vetrine facebook) che si sbizzarriscono nella reinterpretazione artistica di un paesaggio, magari normalmente un po' anonimo, grazie a questi elementi aggiuntivi. E ciò vale ancor più per i paesaggi padani, "condannati", si fa per dire, all'orizzontalità della pianura o all'ortogonalità (in genere) delle superfici coltivate.
Cilindriche o a parallelepipedo? Una scelta "di campo" per due "tocchi" diversi al paesaggio padano




Un dubbio ci sovviene, non è che queste rotondità, inconsciamente, riportino a quelle delle mitiche mondine, chinate nel loro massacrante lavoro nelle risaie? Che le rotoballe richiamino in noi la nostalgia di una Pianura Padana ormai perduta, pullulante dell'elemento umano?

Quando la campagna piemontese e lombarda pullulava di umanità: le "rotondità" delle mondine

Qualunque sia la risposta, quelle distese di rotoballe che improvvisamente appaiono e altrettanto velocemente spariscono per essere usate o insilate, sono un piccolo piacere, dal sapore un po' metafisico, anche per l' occhio di un fugace osservatore motorizzato.