venerdì 30 ottobre 2015

La "grazia" delle acque... in un angolo di pianura

Sparite le foreste, bonificati stagni e acquitrini, livellati i dossi... forse l'unica primigenia caratteristica naturale della Pianura padana a salvarsi, prima delle radicali trasformazioni del territorio operate dall'uomo, lo deve al fatto di essere sottoterra. Dal Piemonte al Friuli, il filo rosso, anzi, azzurro, che "lega" tutte le regioni del nord, è la fascia delle risorgive. L'acqua, penetrata negli strati permeabili dell'alta pianura, scorrendo per chilometri e chilometri, dopo essere "sparita" nel sottosuolo, entra infine in contatto con le coltri argillose della bassa pianura, e così, trovando un ostacolo, è costretta a tornare in superficie. Una "spiegazioncina" che un tempo faceva anche la maestra delle elementari nell'ora di "patria" geografia.
Nel "mare" delle risaie, il Santuario della Madonna della Fontana a San Nazzaro Sesia (No)
Proprio nella mia zona, tra Sesia e Ticino la fascia delle risorgive, in genere larga dieci-venti chilometri, raggiunge la sua massima lunghezza, più di 60 km, partendo dalle colline a sud dei laghi e arrivando a lambire il Po.
Ciò che succedeva nei secoli passati nella Bassa allo scaturire dell'acqua ipogea lo raccontano cronache, un po' iperboliche, che descrivono addirittura l'improvvisa apertura di pericolosi baratri nel terreno dovuta a robusti zampilli d'acqua con conseguenti allagamenti delle campagne circostanti. Proprio questi impaludamenti hanno fatto sì che le risorgive sono state, in verità, in qualche modo "manipolate" dall'uomo: a partire dal XIV secolo le acque di queste polle naturali sono state infatti regimentate nei "fontanili" o "fontane", per poi essere utilizzate per irrigare le campagne.
La facciata del Santuario
Così si faceva un profondo scavo, la "testa" - più o meno tondeggiante, dal diametro di parecchi metri, ben protetta da ripe costruite col materiale di riporto - attorno al punto di affioramento delle acque. Poi, tramite un fosso, "l'asta", si canalizzava l'acqua verso i campi. In genere l'area della "testa" era circondata da un'area piantumata con alberi e siepi. Ovviamente il sistema poteva funzionare grazie a un continuo intervento di manutenzione dei contadini. Ed è stata proprio l'acqua dei fontanili a far nascere, nella pianura lombardo-piemontese, la pratica delle "marcite", che permetteva anche in inverno la crescita dei foraggi per lo scorrere continuo dell'acqua, relativamente calda (12°), che impediva il congelamento dei prati. Oggi quella tradizionale pratica è pressoché scomparsa e i fontanili non è che se la passino proprio bene: non più curati come un tempo, a volte ormai interrati o degradati, talvolta trasformati in piccole riserve di pesca. Ci sono, è vero, recuperi virtuosi, specie negli ultimi decenni, ma c'è pure un caso di una "risorgiva - fontanile" che si è salvata da se stessa.
L'altare...
Sulla sua scaturigine dalle profondità, infatti, è stato costruito il santuario della Madonna della Fontana, nei pressi di San Nazzaro Sesia (Novara).E' una costruzione isolata, nel mare delle risaie, risalente al XVII-XVIII secolo. Immagino però che a questo luogo, e alle sue limpidissime acque, si sia assegnata fin da tempi pagani una capacità taumaturgica, assorbita dal cristianesimo e celebrata in tempi relativamente recenti dal ricordo di eventi miracolistici, prodigiosi o di semplici "grazie".
... e, sotto, la risorgiva
Una leggenda racconta che il tempio fu edificato perché un'immagine mariana, posata su un albero da un venditore di quadri che voleva riposarsi in un caldo pomeriggio, non volle più staccarsi da questo sito di acque pure e lustrali, malgrado i tentativi per recuperarla. Una dinamica leggendaria che accomuna questo sito a decine di altri santuari sparsi in tutt'Italia dove tante icone hanno "rifiutato" di spostarsi. Comunque, ci si avvicina al luogo con dovuto rispetto. Anzi, con capo chino, come avverte un antico avviso su una parete del santuario, sotto la quale sbuca verso l'esterno l'acqua.
... l'acqua sbuca poi all'esterno della chiesa

Sulla facciata della chiesa, invece, campeggia il motto di una piccola meridiana, con una frase citata anche da Sebastiano Vassalli nella “Chimera”: "Tempora metimur sonitu, umbra, pulvere et unda, nam sonus et lacrima, pulvis et umbra sumus" ovvero... "misuriamo le ore col suono e con l'ombra, con la polvere e con l'onda, perché noi stessi siamo polvere e ombra, rumore e lacrime...".
Dopo aver meditato un attimo sul duro ammonimento, pure al meno pio viene quasi naturale abbeverarsi all'acqua "benedetta", anche perché qui, in piena Pianura Padana, non è poi  facile trovarla così "naturalmente" limpida e pura. E una volta esaurita la sua funzione sacra, la risorgiva si laicizza, diventando fontanile, andando a donare una grazia terrena ai campi sottostanti, tuttora irrigati da quest'acqua.

lunedì 19 ottobre 2015

Aieta,un nido rinascimentale per l'aquila calabra

Come ogni aquila che si rispetti, ha scelto il luogo adatto per fare il nido a mezza costa, al di sotto del territorio di caccia. Aieta, dal greco aetòs, appunto "aquila", se la osservi da Tortora, la vedi là in alto, vicina ma quasi irraggiungibile.
L'aquila, simbolo di Aieta



E infatti i due paesini sono a pochissima distanza in linea d'aria (ovviamente... trattandosi di "volatili") mentre per raggiungerla in auto bisogna scendere a mare e poi risalire una tortuosa ma meravigliosa strada panoramica.
Aieta (Cosenza), vista dal paese di Tortora
E' una visione, quella di Aieta "dal basso" che incuriosisce immediatamente, nel notare la sproporzione tra le casette addossate al monte e un enorme palazzo in pietra grigia. Bisogna assolutamente andarci per scoprire l'arcano di un paese che, tra l'altro, fa parte dell'associazione "Borghi più belli d'Italia".
Come sempre si rischia che le impressioni di un luogo siano "inquinate" dall'euforia vacanziera, ma è anche bello fare uno sforzo di concentrazione per astrarsi dal contesto, cercando di fissare quello che ti racconta (o che vuoi che ti racconti) un villaggio come questo. Ma per prima cosa cerchi il grande palazzo che riempie in maniera così importante lo spazio urbano.
Il palazzo rinascimentale di Aieta
E lo trovi... aperto, oltretutto in orario quasi serale! Già questo è motivo di soddisfazione, che diventa poi vero guibilo nello scoprire che hai anche una guida (oltretutto gratuita) a disposizione. E pure preparata e puntuale nello spiegarti la storia della magione nobiliare durante la visita ai vari ambienti. E così ti si svela un raro, forse unico, angolo di Rinascimento in piena montagna calabra: una dimora gentilizia cinquecentesca su tre piani, negli ultimi decenni salvata da un progressivo degrado, recuperando anche interessanti affreschi decorativi, oggi divenuta monumento nazionale. Nella facciata esterna si apre il "fiore all'occhiello" del palazzo: un meraviglioso loggiato dal quale i Martirano prima e i marchesi Cosentino poi si godevano in piena tranquillità la vista del mare... mica scemi!
Tramonto su Tortora e sul Mar Tirreno dal loggiato del palazzo
Un paese che ti dà l'impressione di essere nobile e popolare insieme, con "antichi" negozianti che ti invitano nel loro modesto ma dignitoso negozio che vende un po' di tutto ed elegantissimi portali scolpiti in pietra che si aprono nel dedalo di linde viuzze.
Arte tra le vie del borgo...
Ci si prepara per il concertino serale in piazza del Municipio
Ti domandi: "Come si vivrà qui, passato il periodo estivo?". E così, sul far della sera, lasci Aieta, rimpiangendo il fatto di non avere un tot di vite a disposizione per provare l'esperienza e con un sapore salato-dolce in bocca (forse lo stesso del tipico prosciutto locale, vera delizia per le papille gustative) sapendo che probabilmente non ci tornerai più... ma non si sa mai.

giovedì 15 ottobre 2015

Ceriana, i colori segreti di un “paese-tabellina”

Aggrappata, quasi nascosta a un contrafforte della valle Armea, a una decina di chilometri dal mare (che però non si vede) Ceriana, entroterra sanremese, ha il fascino di quei luoghi-tentazione dove per un attimo pensi: "Se mi rifugio qui non mi beccano più... e mi invento anche un'altra identità".
Passato ormai il - relativo - bailamme del periodo estivo, il paese, poco più di milleduecento anime, non tarda a presentarsi per quello che è: un piccolo scrigno di sorprese.
Il paese di Ceriana, in valle Armea (Imperia)
Un po' ritroso ad aprirsi, per la verità, come del resto è nel carattere dell'entroterra ligure.

Dove si indovina, addentrandosi nei carrugi, la stratificazione delle epoche, a partire dai resti del castrum romano sopra il quale si costruirono una solida cinta muraria e camminamenti per difendersi dalle incursioni dei "soliti" saraceni nel medioevo, accolti a pentolate di olio bollente gettate dalle tante caditoie presenti.


E dove ci si sorprende per un numero di chiese, oratori e cappelle sproporzionato in relazione agli abitanti (perlomeno quelli di oggi) del borgo.
Visitazione: l'oratorio degli "Azzurri"
Anzi ogni chiesa ha un suo... partito. Neri, Verdi, Rossi e Azzurri (sì... anche loro), sono infatti le antichissime confraternite cerianesi (che resistono ancora oggi, con tanto di riti di iniziazione dei novizi) cui erano associati vari luoghi di culto.
Oratorio di santa Caterina, dei "Rossi", e la chiesa di S.Spirito

E poi una chiesa parrocchiale tardo barocca, imponente, che domina su tutto. Quasi "incredibilmente" aperto in una domenica pomeriggio di metà settembre, il grande tempio svela al suo interno un misconosciuto capolavoro cinquecentesco (messo lì un po'... così): un polittico con San Pietro in Cattedra, di autore ignoto. Nella predella miracoli di Gesù con un fil rouge "acquatico", tanto per ricordarci che siamo in Liguria.
La parrocchiale tardo barocca di Ceriana e, sotto, il prezioso polittico

Poi ci si addentra nei carrugi, dove, come accade spesso in luoghi come questi, incontri più gatti che abitanti, che invece ti sembra indovinare atti a sbirciare i "foresti" dall'alto, protetti alla vista dalle feritoie delle tipiche imposte liguri o assopiti in una silente quiete postprandiale.
Gallerie e camminamenti coperti a Ceriana

A ogni svolta, ripidissimi e strettissimi anditi che si aprono improvvisamente sembrano perdersi nel nulla, come il "carrugio della Pena" (nomen omen)                                    
Salendo verso.... l'ignoto "du carugiu da pena"
mentre camminamenti coperti dominano la valle: insomma un labirinto dove davvero... sparire è facile.

Lungo la strada che riconduce a Sanremo, la sorpresina finale. Qualcosa che non avevi notato salendo, perchè in posizione, "naturalmente", quasi nascosta.
L'insegna del... paese-tabellina
Ovvero una di quelle magnifiche e vetuste insegne smaltate della benzina Lampo di un' Italia che fu, ormai quasi scomparse (o “involate” da qualcuno) che recita: "Ceriana m. 369 s/m" - giustamente infissa presso il numero civico 3 - proprio come la prima sequenza, dalla cadenza un po' esoterica, della tabellina del numero perfetto. E in effetti lasci questo luogo con un "gusto" strano negli occhi, quasi con la convinzione di aver sfiorato qualcosa di enigmatico, celato, da cercare nel sottofondo del piccolo scrigno cerianese.