lunedì 19 dicembre 2016

Casperia, medioevo "alla britannica" e senza gru

E finalmente eccolo, il borgo ideale alla vista, che ti si presenta adagiato perfettamente a un colle, senza nessun traliccio, gru o altro segno deturpante della civiltà che ne oscuri l’immacolato skyline, perfettamente centrato sull’antico campanile.
Casperia (Rieti) tra le montagne della Sabina
Il biglietto da visita è già accattivante, poi ti avvicini e ti accorgi che, all’interno, non possono circolare auto, moto o altri veicoli. E così… l’immediato innamoramento per questo luogo è davvero…dietro l’angolo. Non per niente siamo in Sabina, e, senza essere così “sbrigativi” come gli antichi Romani con il loro “ratto”, ti lasci prendere per mano da lei, Casperia, l’antica Aspra.
Un borgo antichissimo, presente in una sfilza di citazioni, da Virgilio nell’Eneide fino al pittore  Giovanni Fattori che la definì “uno sciame agglutinato di case grigie e di tetti ocra”. Incredibilmente bella Casperia, con stradine, viuzze, stretti pertugi che salgono a cerchi concentrici in cima al colle dove campeggia la chiesa di San Giovanni Battista.
Un tuffo nel medioevo… dove tutto è fermato nel tempo… un vero esempio di come dovrebbe essere conservato il nostro ineguagliabile patrimonio architettonico.
Eppure, fino a una ventina di anni fa Casperia stava morendo, completamente abbandonata e ignorata… come successe, secondo la leggenda, alle Sabine già maritate. Solo l’intuizione e la lungimiranza di un’altra donna diede il “la” al recupero del suo intimo splendore. Maureen Donovan, agente di viaggi gallese innamorata dell’Italia, ebbe per prima l’idea, apparentemente temeraria, di aprire un bed and breakfast in quello che era diventato un deserto. A poco a poco il passa parola-volano funzionò e cominciarono a calar qui turisti vieppiù numerosi dalla terra di Albione e anche  da altri paesi europei.  Non è un caso quindi che la lingua prevalente che risuona sia proprio quella inglese, mentre si passeggia in un borgo risanato e “rinobilitato”. D’altra parte proprio qui, in queste amenissime e verdi  montagne che guardano verso la valle del Tevere, fissava il suo buen retiro anche il meglio della nobiltà romana.
L'antrata di Palazzo Forani a Casperia
Testimone ne è l’imponente residenza di Palazzo Forani, annunciata da due orsi in pietra  a lato del portale d’entrata, che ricordano l’antica proprietà dei principi Orsini. Comunque è un piacere vagare in un paesino insolitamente lindo (penso a certi borghi che somigliano a Casperia, ma pieni di “monnezza”, per dirla alla romana)… saranno i britannici, o forse è un’antica abitudine indotta negli abitanti… d’altra parte la multa di dieci scudi d’oro per i trasgressori non era certo uno scherzo…

lunedì 10 ottobre 2016

Caprera, i lunedì di Garibaldi e... la malinconica "Messa del Cervo"

La curiosità cresce, passando da queste parti, nell’avvicinarsi alla casa dell’eroe per scoprire qualcosa di più dell’uomo, al di là dell’agiografia che riporta ad antiche reminiscenze scolastiche e delle ultime controverse interpretazioni delle sue gesta.
L'Isola di Caprera e l'arcipelago della Maddalena
L’isola di Caprera è il paradiso naturalistico, scelto da un ancor giovane Garibaldi come buen retiro tra un’impresa e l’altra, dove passò gli ultimi anni della sua vita e dove morì. La sua casa, trasformata in un museo,  occhieggia tra una vegetazione lussureggiante. Siamo ad agosto e in tanti si appropinquano oltre l’ultimo piccolo posteggio-piazzola, dove due pullman pieni di turisti stranieri approfittano per fare inversione. Eccoci qui, ansiosi di oltrepassare la soglia; un cartello annuncia di essere al cospetto di un “monumento nazionale” però… c’è un però. Sfortunatamente è lunedì e il monumento nazionale suddetto è inopinatamente chiuso… no comment, ma tanta delusione in tutti. Non resta che accontentarsi di fare uno foto alla laconica scritta incisa nella roccia all’esterno “A Garibaldi L’Italia, II giugno MDCCCII”, ovvero la data del ventennale della morte dell’Eroe dei Due Mondi.


Sopra la casa "chiusa" di Garibaldi e la scritta commemorativa dell'Eroe
E’ andata così… per fortuna è possibile inerpicarsi per una stradina che risale la china del Monte Telaione, massima altura dell’isola. Finite le strade partono tratturi che conducono, molto più in basso, a calette più o meno segrete, meta dei turisti con meno velleità “garibaldine”. Uno di questi sentieri, invece, sale tra i profumi della macchia mediterranea e rocce dalle forme bizzarre, quasi antropomorfe, levigate dai venti.




Si scollina e, un po' più in là di quello che resta di un’antica fortificazione,  appare il meraviglioso mare della costa nordorientale della Sardegna e una costruzione abbandonata, quasi mimetizzata nell’ambiente. Il magnetismo delle rovine è irresistibile… si entra e si capisce tutto.


Cio che resta della casermetta a servizio della postazione "Messa del Cervo"
Nello stabile, ormai fatiscente, campeggia quasi incurante del tempo e della salsedine la famosa parola d’ordine “imperativa e categorica” di Mussolini: “Vincere!”, fossilizzata nell’abbandono, quasi “canzonata” da una scritta sottostante,“Pci”, anch’essa consegnata ormai alla storia, e contrappuntata dall’altro lato dello stanzone (forse il dormitorio) da un più prosaico “Forza Juve”, quasi sicuramente scritto dalla stessa mano. Era dunque una casermetta sperduta nel Mediterraneo a servizio delle postazioni di artiglieria (mimetizzate e scavate nella viva roccia) in tempo di guerra. Ho scoperto poi che questo luogo ha un nome lontano da qualsiasi riferimento bellico: “Messa del Cervo”. La struttura è “tenuta su” da ponteggi anch’essi vetusti, e curiosando qua e là si intuiscono le destinazioni degli altri ambienti... latrine, cucina, stanza per gli ufficiali. Nel trionfo del sole e della natura, è difficile ripensare alle vicende della guerra e del regime. Mi piace immaginare che qui un giovane ufficiale destinato in questo sperduto e forse inutile avamposto, guardando verso il mare, lontano da qualsiasi tentazione eroica, abbia fatto sue le parole del poeta:
… Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi…
(tratto da “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale)
Dalla Messa del Cervo, il faro degli isolotti Monaci

lunedì 11 luglio 2016

Il patchwork spazio-temporale di Valloria

Potrebbe essere il tipico borgo dell'entroterra imperiese colonizzato da stranieri... ma non lo è. Si è ritagliato uno spazio, forse uno spazio-tempo tutto suo grazie a un'iniziativa dell'Associazione Amici di Valloria, nata nell'ormai lontano 1994.

Valloria, frazione di Prelà (Imperia)
Un'idea semplice, rivelatasi efficace, per ridare vita a un villaggio di poche anime, oggi frazione di Prelà, immerso, quasi mimetizzato nel verde di fitte selve di uliveti. Perché non dipingere le porte di questo piccolo borgo collinare? Incredibilmente, nel giro di pochi anni, l'antica Vallis Aurea è diventata una pinacoteca en plein air dove al posto delle tele si usano supporti atipici come gli usci e i portoni che si aprono nei carruggi e negli antichi anditi del borgo, trasformati dall'intervento di artisti noti e meno noti. Oggi sono oltre 150 le “porte dipinte”, e ogni anno se ne aggiunge qualcuna...











C'è un po' di tutto in un paese divenuto un patchwork artistico particolare, dal classico figurativo a suggestioni impressioniste o surrealiste. Dietro ogni angolo, e sono tanti gli angoli nella “contorsione viaria” degli antichi borghi, puoi essere colto completamente di sorpresa da una visione improvvisa. Bisogna come sempre entrare un po' in armonia con l'ambiente, sintonizzare le proprie lunghezze d'onda con ciò che ti sta intorno... meglio se in una giornata qualunque, lontano dai fine settimana o dalla piena estate e dimenticando per un attimo la malìa di effluvi tipicamente mediterranei che escono dalle finestra di qualche cucina. Forse non sono “solo” porte dipinte... ma dei veri e propri passaggi spazio-temporali dove si ha la sensazione che, avvicinandosi, si possa essere “assorbiti” verso un universo sconosciuto.
"Ingresso a Lomilandia" di Anna Motta
Un punto di partenza verso altri mondi, spetta solo all'osservatore scegliere dove sia più bello infilarsi per entrare in un'altra dimensione... come quel variopinto uccello di “Ingresso a Lomilandia” di Anna Motta, deciso a bucare con il suo appuntito becco la propria sfera esistenziale per spiccare il volo verso l'avventura, oltre una porta metafisica tra mare e cielo... perlomeno... io la vedo così.

domenica 15 maggio 2016

Proh, devozione perduta tra risaie e boschi

 Sarà perché il grosso degli stormi di zanzare è ancora per un po' negli hangar, sarà perché pure la calura è lontana, sarà perché intorno è tutto un trionfo d'acqua... però è sicuramente la primavera la stagione migliore per vagabondare tra pianura e collina. Anzi, proprio dove pianura e collina si incontrano in un passaggio netto, in poche decine di metri, tra due ambienti completamente diversi. Uno tra i punti fatidici di questo "bacio" si chiama Proh (rigorosamente con l' "h" finale, in dialetto suona "Prù") un paesino di poche decine di abitanti della provincia di Novara, nobilitato dalla presenza di un castello cinquecentesco, "luogo di delizie", si dice, di Francesco Sforza.
Il castello di Proh (Novara), dove le risaie "finiscono" direttamente nelle colline
Al di là di ciò, il classico posto, sfiorato dalla strada, dove si passa e si va, senza porsi troppe domande. Eppure il maniero è già un "pesante indizio" di un passato importante, e anche molto antico. Attorno al XI-XII secolo l'antica Petrorium (luogo delle pietre) visse infatti una breve stagione come caput plebis: praticamente Proh era la "piccola capitale" di una circoscrizione ecclesiastica, dove ci si occupava pure di riscuotere tributi e raccogliere decime. L'antica chiesa, San Zenone, documentata fin da 949 ... completamente sparita. Pare si trovasse sulla strada tra Proh e il borgo di Camodeia... anch'esso completamente e misteriosamente sparito nel nulla. Eppure fu l'abitato che "strappò" in qualche modo la dignità pievanale a Proh nel corso del XII secolo. Solo poche memorie sono rimaste di quelle vicende, però, passeggiando lungo le rive dell'antica roggia Mora, qualcosa di antiche stagioni medioevali è tangibile... anche se ben mimetizzato in mezzo alle risaie: un'antichissima abside "inglobata" all'interno di una costruzione agricola.
Tra le risaie, la "Cella di Santa Maria"
Da lontano quasi non la si nota. Ma da vicino suggerisce un'antica importanza. E' la "Cella di Santa Maria", ciò che resta di un antico monastero benedettino del XII secolo.

L'accuratezza della costruzione romanica è sorprendente con eleganti archetti pensili in cotto e mensoline, ciottoli di fiume (con linee segnate dalle lame di antiche cazzuole) contrappuntati a laterizi, in un armonico insieme cromatico.
Particolari dell'abside romanica
Il bello (una volta tanto) è che in questa dimenticata costruzione si può entrare liberamente. Nell'ambiente interno resistono, ben protetti da una grata, affreschi quattrocenteschi che guardano verso un vecchio focolare che suggerisce momenti di vita vissuta tra i campi, sotto la protezione delle figure del Cristo, degli evangelisti e degli apostoli.



Gli affreschi quattrocenteschi "guardano" verso il  vecchio focolare contadino
Tornando indietro, verso Proh, tra i boschi delle prime colline spunta un altro segno di antica devozione, il campanile della chiesa di San Silvestro "in castro", in origine un'antichissima cappella, più volte rimaneggiata nei secoli e anche questa completamente abbandonata, a partire dalla fine degli anni '60, quando fu abolita la parrocchia (e anche la locale piccola scuola elementare).
Il campanile di San Silvestro in castro, con l'orologio fermo sulle 15,50 di un anno imprecisato
Da una finestra aperta sull'interno si notano vetusti affreschi mentre, sulla facciata, ecco una lapide ormai centenaria, dove ancora si legge, a fatica, "Memoria alla contessa Teresa Tornielli di Vergano Voli che l'anno 1917 istituiva l'annuale assegnazione di doti a nubende povere di Proh".

Tra l'abbandono, spuntano antichi affreschi e una vecchia lapide

L'ultimo parroco di Proh, negli anni '60, con i bambini della scuola elementare
Altri tempi. Tutto intorno la chiesa è fagocitata da un bosco incolto dove il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli, nella loro vitale stagione primaverile. 

ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.
E il cantico all'ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!
(da "Nella macchia" di G. Pascoli)

venerdì 15 aprile 2016

A Morasco... "Il tempo si è fermato"

Tutte le dighe dei laghi artificiali di montagna sono diverse... o no? Ce ne sono due, lontane tra di loro, con caratteristiche completamente differenti, che per me saranno almeno "sorelle" grazie a una particolare e antica "esperienza cinematografica": la diga del Venerocolo, ai piedi dell'Adamello in Alta Val Camonica e quella di Morasco, in Val Formazza. Ma bisogna partire da molto, molto tempo fa... da un fotogramma, o come si usa dire adesso, un frame del primo film di un giovanissimo Ermanno Olmi, "Il tempo si è fermato".

Un film che, in un imprecisato anno dei '60, il canale Nazionale della Rai, così si chiamava l'attuale Rai Uno, mandò in onda in prima serata. E quella volta (sarà stato sabato?) non andai a dormire dopo "Carosello".
La diga e il lago di Morasco in Alta Val Formazza
Una storia semplice - giocata con le intuizioni delle "opere prime" - in uno spettacolare scenario bianco che vede, dall'iniziale diffidenza, lo svilupparsi di un'amicizia tra il vecchio guardiano della diga e un giovane sostituto, interpretati da due attori non professionisti. Leggerezza, poesia, ironia, grazia nel cogliere i piccoli gesti della quotidianità, condensate in un piccolo - datato fin che si vuole - capolavoro in bianco e nero. Fu girato con pochi mezzi, trasportati in quota da una teleferica di cantiere, proprio al Venerocolo, probabilmente in una incipiente primavera. 

Allora io non sapevo affatto dove fosse quella diga, ma quel film mi rimase impresso per sempre, soprattutto in quel frame dove il giovane protagonista si buttava nella neve, componendo con la sua sagoma una sorta di "greca".
Il frame della memoria
Ed erano gli stessi anni un cui con la famiglia cominciai a frequentare Formazza... così associai quasi naturamente quel film e quello scenario, alla diga e al lago che negli anni '30, in nome del progresso, sommerse per sempre il piccolo villaggio di Morasco.
Morasco, il villaggio sommerso dalle acque del lago artificiale negli anni '30
Quel film, e il suo titolo, si perse poi per sempre nella memoria, salvo quel frame galeotto. Finché, moltissimi anni dopo, la stessa Rai, lo rimandò in onda, quasi vergognandosi, in una piena notte... insonne e fu così che lo ritrovai per puro caso. E finalmente scoprii dove era stato girato, al lago Venerocolo, sotto l'Adamello, e non a Morasco... "ritrovai" il fotogramma e soprattutto un film magico, come lo era per un bambino nato in pianura (ma con una buona dose di sangue "montagnino") e affascinato dal mestiere di guardiano di una diga e che poi la vita avrebbe trascinato in tutt'altri ambiti. Da allora, grazie al dvd, ho rivisto un sacco di volte il film, andando anche a studiarne un po' la storia. Scoprendo,  coincidenza, che i primi "passi cinematografici" Olmi li mosse proprio in val Formazza.

Infatti era dipendente della Edison, società che costruì (oltre a molte altre) tanto le dighe di Morasco che del Venerocolo. Prima vennero i documentari sul lavoro nei cantieri e sulle linee elettriche della Edison e poi un "naturale" passaggio al vero cinema con "Il tempo si è fermato" girato nel 1958.
Un fotogramma del film di Olmi girato alla diga del lago Venerocolo e, sotto, la diga di Morasco
Vedendolo e rivedendolo, però, malgrado le differenze costruttive e delle quote delle dighe (il Venerocolo è a 2540 metri, Morasco a 1830 metri) qualche particolare rivela una certa somiglianza ambientale, forse colta spontaneamente tantissimi anni fa al tempo di quel lontano imprinting infantile, ritrovata confrontando un fotogramma del film e una fotografia. Comunque sia, per me, ancora oggi, "Il tempo si è fermato"... a Morasco.