venerdì 27 ottobre 2023

Briga Marittima: una straordinaria "scoperta dell'America" pittorica e la "morte" di Maria

Alta Valle Roja, ai piedi del Col di Tenda... la politica dice Francia (e definitivamente dal 1947) ma per la geografia siamo in Italia. Qui erte boscose fanno da sfondo al borgo - dalle caratteristiche tipiche dell'entroterra ligure - di Briga Marittima (La Brigue).  Incuneandosi oltre, su una stradina, verso  una solinga valletta frequentata più da mandrie di pecore che da umani, una chiesetta montana tra i boschi è la meta dell'itinerario. Dall'esterno "non le daresti due lire", tanto pare anonima... 
 
Invece l'interno (aperto per una giornata festiva e... quasi estiva di metà ottobre 2023) ti lascia a bocca aperta. Non per niente Notre Dame des Fontaines, questo il nome del piccolo tempio, è infatti nota (si fa per dire, in quanto è davvero un gioiello seminascosto) come "La Cappella Sistina delle Alpi Marittine". Sostanzialmente una fantasmagoria di affreschi e di tempere (pittura su intonaco essiccato) del XV secolo che coprono l'intera superficie delle pareti e dell'abside della chiesa, opera dei due artisti piemontesi, Giovanni Canavesio e Giovanni Baleison.
 

Una "summa" visiva della cristianità, con evangelisti, santi e dottori della chiesa e dipinti nel coro dal Baleison, mentre le mura perimetrali, opera del Canavesio,
mostrano undici  episodi della vita della Vergine Maria con Gesù Bambino e ben ventisei quadri della Passione di Cristo. Un grande e potente affresco raffigurante il Giudizio universale copre la parete di fondo della cappella montana.
Colpiscono l'occhio alcune composizioni "terrifiche"  e grottesche che rimandano a Hyeronimus Bosch come il demonio che si impossessa dell'anima di Giuda impiccato, rappresentata da un piccolo uomo



o i demoni, le macchine da tortura  e uno spaventoso Leviatano nel Giudizio Universale.
 


Pitture legate al tardogotico, vivissime, espressive e a volte grottesche, anche se cominciano a essere presenti aspetti rinascimentali in alcuni ambienti e composizioni.
 
 
Non per niente non può sfuggire a un occhio minimanente più attento la data (peraltro non del tutto sicura) della fine degli affreschi che spunta in un cartiglio: 12 ottobre 1492, scoperta dell'America e insieme passaggio dal Medioevo all'Età Moderna.
 
 
Ma, tra le altre particolarità, una colpisce più di tutte: la "Dormitio", ossia la morte di Maria, mutuata dai vangeli apocrifi, in contrasto con la tradizione della sua Assunzione al cielo. Con la sua anima che si ricongiunge a Cristo sotto forma di bambino. Un'iconografia in questo caso abbandonata dal Rinascimento in poi con la notevole eccezione della "Morte della Vergine" di Caravaggio.
 

E si lascia questo luogo quasi storditi da tanta arte e inaspettata bellezza qui, in una umile chiesa, nascoste.

mercoledì 4 ottobre 2023

Le sorprese del Matese e la visita "elettrica" del principe Umberto di Savoia

Zelanti arcipreti, aromi celestiali  e capolavori barocchi... Un inizio autunno 2023 più caldo che mai, direi estivo, mi ha condotto in un lembo d'Italia a me finora sconosciuto e un po' discosto... nel senso che bisogna proprio volerci andare, posto com'è al di fuori da qualsiasi classico itinerario "di passaggio" e abbastanza lontano da vie di comunicazione importanti. Stradine da percorrere slowly, paesini solitari da scoprire e natura bucolica, insomma... un mix che mi cattura sempre. Il Matese - propriamente un massiccio montuoso - identifica in sostanza una regione compresa tra Molise e Campania. Il giro ha toccato le province di Benevento e Caserta ai piedi del Monte Mutria.

 

 In particolare, dopo Cerreto Sannita, sono salito a Cusano Mutri, dove tra l'altro aleggiava un piacevole odore di porcini mutuato dalla notevole "Sagra dei Funghi", in corso in questo periodo.

 

 

Data l'occasione, chiese aperte e sorprese a ogni angolo. In particolare impressiona un misconosciuto capolavoro ligneo seicentesco (che, a detta dei locali, pare abbia colpito anche Sgarbi che, non si sa come, passò di qui) nella parrocchiale di San Pietro e Paolo: una grande pala scolpita dominata in alto dal Padre Eterno e tutta una serie di santi e figure sacre. Al centro, in una nicchia, troneggia il busto di Santa Chiara ricordando colei che donò l'opera alla chiesa, la marchesa Chiara Origlia. L'opera fu compiuta da mastro Domenico de Luca nel 1661.


Nelle viuzze del borgo spunta intanto una faccia enigmatica.


 

 

Salgo poi a Pietraroja, paesino solitario  e deserto nell'ora prandiale, che qualche notorietà nazionale ebbe quando qui, nel 1980 fu rinvenuto un cucciolo di dinosauro, subito ribattezzato "Ciro". Ma a me interessa un'altra tipicità. Decisamente, e non poteva essere altrimenti, "di nicchia". "Tuzzulate e vi sarà aperto" si legge su un portone. Si bussa così con un certo rispetto. E si apre un celestiale scrigno... la gemma è il prosciutto di Pietraroja, rigorosamente da tagliare al coltello, dall'aroma che riflette un territorio ruspante e incontaminato. 

 



 

Ma, senza lasciarci travolgere troppo dal gusto,  anche il borgo, quasi quintessenza del paesini del Meridione,  merita una passeggiata. In alto, la chiesa di Santa Maria Assunta mostra uno "zoologico" portale romanico... contrappuntato, di fianco, da una lapide che riporta a tempi "eroici" ed "elettrici" impressi nella pietra dallo zelante arciprete Lorenzo de Carlo dopo la visita del Principe Umberto di Savoia.

 


 

Lasciata Pietraroja "festante", si fa per dire, fantastica salita superpanoramica attraverso la "Bocca di Selva" (1393 m) nella solitudine più totale e discesa verso il lago carsico del Matese in un paesaggio che più bucolico non si può. E direi che della giornata si può essere soddisfatti...







mercoledì 11 gennaio 2023

Apricale: oscuri anditi e una bicicletta verso il cielo

Le caratteristiche sono quelle comuni a tanti borghi dell'entroterra ligure, ma Apricale (Im) quasi le esalta: il dedalo di carrugi raggrumano più che mai su se stesso l'abitato,  oscuri anditi che si aprono improvvisamente alla vista sembrano attirare il viandante verso un alcunchè di ignoto e arcano, antiche scritte riportano a un passato agreste... e forse non è un caso che nel villaggio risieda un prodigioso, a quanto si dice, rabdomante.





 

Ma Apricale è anche luogo di contrasti, dove gli ombrosi carrugi pare vogliano dissimulare la felice esposizione del luogo, nomen omen, dove il castello si chiama "della Lucertola", quasi che le sue annose pietre anelino spasmodicamente verso il benchè minimo raggio di sole e dove la piazzetta ai piedi del maniero pullula di turisti ad onta del silenzio che avvolge il resto del borgo. 


 
 

Per non parlare dell'immaginifico "monumento" che può sfuggire a distratte occhiate... una bicicletta che rimonta la cuspide del campanile, ricavato peraltro dall'ultima torre superstite del castello, lanciandosi, libera e senza guida, verso l'azzurro del cielo.

 

Si tratta dell'installazione (datata 2000) dell'artista Sergio Bianchi dal titolo "La forza della non gravità"...  da allora rimasta,  come nuovo simbolo di Apricale, a rimarcare da un lato la potenzialità dell'osservazione estemporanea della realtà e dall'altro quell' irresistibile impulso che a volte ci lancia verso traguardi apparentemente impossibili.

martedì 23 agosto 2022

Il terremoto delle Ceneri e l'incorrotto skyline di Bajardo

 

“Quali infelici giorni, e quai disastri non apportò esso (l'anno 1887) dal 23 febbrajo, giorno delle Ceneri. Nei tre giorni precedenti a questo parve che il demonio più che in ogni altro Carnevale avesse acceso a scarnascialare la gioventù e quanti uomini e padri di famiglia fossero piuttosto dediti all'ubbriachezza e al disordinato operare. Il mattino stesso del 23 sunotato, poco tempo prima suonasse l'Ave Maria, la funzione e la Predica delle Ceneri, giovinastri scorrazzavano ancora per le strade, ebbri di divertimenti, di gozzoviglie, di balli fino allora tenutisi aperti in osterie".   Quel mercoledì mattina del 1887, 600 anime di Bajardo (Imperia), borgo montano dell’entroterra sanremese, si erano raccolte nella parrocchiale, per celebrare il momento di inizio della Quaresima, quando una fortissima scossa di terremoto, di magnitudo oggi calcolabile in 6.5 gradi Richter, in pochi attimi ne fece cadere volta e tetto sui fedeli riuniti in preghiera. Ovviamente, ai tempi, come pare evincersi dall' inciso tratto dal diario manoscritto dal prevosto Zunini, della vicina Pompeiana, qualcuno avrà pure pensato al castigo di un implacabile e vendicativo Dio al cospetto degli eccessi carnevaleschi. Fatto sta che un quarto delle popolazione del paese di allora, oltre 200 persone, poi seppellite in una fossa comune, perirono nel disastroso crollo.

Oggi ciò che resta vecchia parrocchiale di San Nicolò, coperta  da un'eterea volta azzurra in un silenzio interrotto solo dallo svolazzare di qualche piccione, mostra pietre vive in pareti scabre e dilavate.





Rimane solo, lateralmente, un piccolo altare discretamente conservato dedicato a Sant’Antonio, sormontato dal laconico quanto eloquente motto: “memento mori”. Forse una scritta aggiunta dopo la tragedia di quel lontano Mercoledì delle Ceneri del 1887.


Bajardo, dove oggi resistono tre centinaia di abitanti o poco più, rimane quasi cristallizzata nel tempo, con i suoi carrugi, i suoi oscuri anditi e gli immancabili gatti. Così come il suo immacolato e netto skyline non deturpato da alcuna gru, antenna per le comunicazioni o qualsiasi altro ecomostro con, proprio in cima al colle, un’antica chiesa con il cielo come tetto.





 

 

mercoledì 9 febbraio 2022

A Parma, Il testamento dell'abate Stephanus Cataneus

Una modesta porta aperta, sulla sinistra del grande tempio di San Giovanni Evangelista a Parma, scrigno di tesori artistici tra i quali la grandiosa cupola affrescata del Correggio, passerebbe del tutto inosservata se non si occhieggiasse, oltre la soglia, un antico chiostro. E se, con gentilezza, un volontario non invitasse ad entrare ed esplorare il sito: “venite, c’è pure al piano superiore la biblioteca del monastero… è eccezionale, non vi pentirete se vorrete visitarla!”. Così, di fronte a tale cortese ma più che sintetica descrizione, il turista comincia a prefigurarsi, nel breve tragitto e salendo una stretta scalinata, un locale, forse con vetuste scansie lignee, dove occhieggiano dorsi di preziose cinquecentine. E invece no. La meraviglia, perché di meraviglia si tratta, è tutt’altra: una vasta sala con diciotto campate quadrangolari affrescate. Ma affreschi assai originali, a dir poco, illustrati da misteriosi simboli e da cartigli in quattro lingue, latino, greco, ebraico e arabo siriaco e pure con l’aggiunta di qualche geroglifico egizio. Alle pareti laterali, poi, immagini bibliche e straordinarie e dettagliatissime mappe geografiche dipinte: Italia, Grecia, Terra Santa, Ducato di Parma. Un’attrattiva turistica degna di nota nella città ducale, ma poco conosciuta dagli stessi parmensi.

La sorpresa diventa doppia scoprendo che l’ideatore di questo strabiliante ciclo pittorico fu un mio conterraneo novarese, l’abate Stefano Cattaneo (Stephanus Cataneus, da non confondersi con un omonimo e quasi coevo abate, di Intra) tra il 1574 e il 1575, nella Parma dei Farnese, nello stesso periodo, guarda caso, pure marchesi di Novara.

L’abate di “patria novariensis”, nato nel 1507, ricorda il volume edito ad Assisi nel 1732 “Biblioteca benedectino Casinensis”, prese i voti a Piacenza nel 1534 e amministrò diversi tra “insigniora monasteria” della congregazione benedettina, tra i quali oltre a Parma, anche Bologna, Ravenna e Castelnuovo Fogliani.

Insigne linguista e uomo di eccelsa cultura, gli scritti del quale sono però purtroppo andati sostanzialmente perduti, viene ricordato anche da Lazzaro Agostino Cotta nel suo  “Museo Novarese” dove si cita la sua presenza al Concilio di Trento in cui – aggiunge pure puntualmente il volume del 1754 “Historia rei literariae ordini S.Benedicti” – “pluris orationes habuit, variasque dissertationes edidit”  e , naturalmente, la sua attività in Parma dove “quella libraria adornò di pitture squisite”. L’abate Cattaneo, supportato dal monaco Vitale da Verona e con la realizzazione artistica dei bolognesi Ercole Pio e Giovanni Antonio Paganini, volle che alcune fra le pitture più significative che avrebbero ornato la biblioteca fossero tratte dalle incisioni contenute nella “Bibbia poliglotta” di Benito Arias Montano del 1572. Il risultato fu ed è tuttora un ciclo pittorico, nelle intenzioni dell’ideatore, dall’alto significato etico-pedagogico, con elementi figurativi sacri uniti pure a figurazioni allegoriche, specie sulle superfici delle volte, tratte da alcuni testi dell’epoca come per esempio gli “Emblemata” di Andrea Alciati, i “Geroglifici” di Orapollo e gli “Hieroglyfica” di Pierio Valeriano.

In pareti che rievocano millenni di storia umana, in una sorta di caleidoscopio di immagini, non si può fare a meno di notare anche una dettagliata descrizione pittorica dell’Arca di Noè, con inscritto quasi impercettibilmente in “filigrana” l’ “Uomo della Sindone”, ma anche una tumultuosa Battaglia di Lepanto (1571), dove spicca l’insegna del Duca di Parma Alessandro Farnese, fresco vincitore.





La biblioteca di San Giovanni Evangelista a Parma





Un luogo cosmopolita e in qualche modo arcano – dove convivono il candelabro ebraico e il fuoco egizio – che suggerisce, come si legge nel saggio di Luca Ceriotti e Federica Dall’Asta ,“Il posto di Caifa – l’inquisizione a Parma negli anni dei Farnese”, una certa eterodossia del nostro, sfiorato da accuse ereticali, certo a conoscenza delle idee della Riforma e ben edotto dei “temi della controversia teologica cinquecentesca”.

Stephanus Cataneus, novarese, uomo di grande statura intellettuale e di sconfinati orizzonti mentali, morì presso il monastero di San Sisto di Piacenza nel 1579, lasciando sulle pareti affrescate della biblioteca benedettina di Parma il suo singolare e scenografico testamento spirituale.



sabato 26 giugno 2021

Belluno "porta" Dante, Tasso e... tasse

In un tempo molto lontano (... ma mi capita ancora adesso per la verità) mi piaceva guardare le cartine stradali d'Italia e immaginarmi questo o quel posto. Sperando, prima o poi, di andarci. Belluno, non so  perchè, rispetto ad altre città di provincia sparse per lo Stivale per certi versi simili, mi è sempre suonato come un luogo un po' sperduto, una specie di "altrove" ignoto e lontano.
Dopo lunghi decenni, finalmente, quell' "altrove" si è svelato nella calda giornata solstiziale del 2021. Il primo aggettivo che mi viene in mente da dedicare a questa città è "graziosa", il secondo "intima". A dispetto della amplissima piazza dei Martiri, il cosidetto liston, must dello struscio per gli autoctoni, così ho letto, il cuore di Belluno  si articola in tutta una serie di piazzette e viuzze porticate di una  piacevole eleganza d'antan.





Un portale,
sormontato da un busto dedicato a Dante e datato al sesto anniversario della nascita, il 1865, quasi un auspicio  per i Plebisciti che, un anno dopo, resero il Veneto italiano, da Piazza Martiri introduce al centro storico di Belluno.

Ma che ci sia un legame particolare tra l'Alighieri e Belluno lo scopro per caso, durante un'estemporanea e non programmata visita guidata presso la Biblioteca gregoriana. Qui infatti è conservato un preziosissimo manoscritto trecentesco della Divina Commedia,
una delle più antiche testimonianze della vulgata dantesca, conosciuta come il "codice Lolliniano" (da Alvise Lollino, vescovo e umanista bellunese).

Dopo la vista, raggiungendo  Piazza Mercato, fatto sta che appare invece in alto su un elegante palazzotto, il ritratto  di Torquato Tasso. Che ci sia un legame bellunese con un altro grande?


In effetti vengo a scoprire che nel 1782 fu data alla stampe la Gerosalem Liberada, versione in dialetto bellunese del  poema, o meglio in lengua rustega belunes, scritta da Giuseppe Coraulo, detto Barba Sep dal Piai, notaio, agronomo e poeta, opera che fu dedicata tanto ai spetabili  deputadi  che ai boni contadini della vallata bellunese. Che sia stata la dimora del Barba Sep?

Preso da questo interrogativo mi ritrovo in un luogo, presso la chiesa di Santo Stefano, pieno di tranquillità e di piante di rose, dove svanisce il dilemma Tasso e, almeno per i bellunesi, si materializzano... le tasse essendo sede della Agenzia delle entrate: si chiama  Chiostro dei Serviti... un nome, un destino.