domenica 15 maggio 2016

Proh, devozione perduta tra risaie e boschi

 Sarà perché il grosso degli stormi di zanzare è ancora per un po' negli hangar, sarà perché pure la calura è lontana, sarà perché intorno è tutto un trionfo d'acqua... però è sicuramente la primavera la stagione migliore per vagabondare tra pianura e collina. Anzi, proprio dove pianura e collina si incontrano in un passaggio netto, in poche decine di metri, tra due ambienti completamente diversi. Uno tra i punti fatidici di questo "bacio" si chiama Proh (rigorosamente con l' "h" finale, in dialetto suona "Prù") un paesino di poche decine di abitanti della provincia di Novara, nobilitato dalla presenza di un castello cinquecentesco, "luogo di delizie", si dice, di Francesco Sforza.
Il castello di Proh (Novara), dove le risaie "finiscono" direttamente nelle colline
Al di là di ciò, il classico posto, sfiorato dalla strada, dove si passa e si va, senza porsi troppe domande. Eppure il maniero è già un "pesante indizio" di un passato importante, e anche molto antico. Attorno al XI-XII secolo l'antica Petrorium (luogo delle pietre) visse infatti una breve stagione come caput plebis: praticamente Proh era la "piccola capitale" di una circoscrizione ecclesiastica, dove ci si occupava pure di riscuotere tributi e raccogliere decime. L'antica chiesa, San Zenone, documentata fin da 949 ... completamente sparita. Pare si trovasse sulla strada tra Proh e il borgo di Camodeia... anch'esso completamente e misteriosamente sparito nel nulla. Eppure fu l'abitato che "strappò" in qualche modo la dignità pievanale a Proh nel corso del XII secolo. Solo poche memorie sono rimaste di quelle vicende, però, passeggiando lungo le rive dell'antica roggia Mora, qualcosa di antiche stagioni medioevali è tangibile... anche se ben mimetizzato in mezzo alle risaie: un'antichissima abside "inglobata" all'interno di una costruzione agricola.
Tra le risaie, la "Cella di Santa Maria"
Da lontano quasi non la si nota. Ma da vicino suggerisce un'antica importanza. E' la "Cella di Santa Maria", ciò che resta di un antico monastero benedettino del XII secolo.

L'accuratezza della costruzione romanica è sorprendente con eleganti archetti pensili in cotto e mensoline, ciottoli di fiume (con linee segnate dalle lame di antiche cazzuole) contrappuntati a laterizi, in un armonico insieme cromatico.
Particolari dell'abside romanica
Il bello (una volta tanto) è che in questa dimenticata costruzione si può entrare liberamente. Nell'ambiente interno resistono, ben protetti da una grata, affreschi quattrocenteschi che guardano verso un vecchio focolare che suggerisce momenti di vita vissuta tra i campi, sotto la protezione delle figure del Cristo, degli evangelisti e degli apostoli.



Gli affreschi quattrocenteschi "guardano" verso il  vecchio focolare contadino
Tornando indietro, verso Proh, tra i boschi delle prime colline spunta un altro segno di antica devozione, il campanile della chiesa di San Silvestro "in castro", in origine un'antichissima cappella, più volte rimaneggiata nei secoli e anche questa completamente abbandonata, a partire dalla fine degli anni '60, quando fu abolita la parrocchia (e anche la locale piccola scuola elementare).
Il campanile di San Silvestro in castro, con l'orologio fermo sulle 15,50 di un anno imprecisato
Da una finestra aperta sull'interno si notano vetusti affreschi mentre, sulla facciata, ecco una lapide ormai centenaria, dove ancora si legge, a fatica, "Memoria alla contessa Teresa Tornielli di Vergano Voli che l'anno 1917 istituiva l'annuale assegnazione di doti a nubende povere di Proh".

Tra l'abbandono, spuntano antichi affreschi e una vecchia lapide

L'ultimo parroco di Proh, negli anni '60, con i bambini della scuola elementare
Altri tempi. Tutto intorno la chiesa è fagocitata da un bosco incolto dove il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli, nella loro vitale stagione primaverile. 

ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.
E il cantico all'ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!
(da "Nella macchia" di G. Pascoli)