venerdì 31 luglio 2015

Agogna, il torrente più lungo d'Italia (2° puntata)

Dalla città di Borgomanero verso nord, l'Agogna assume via via i connotati di un vero e proprio torrente alpino... ma a Briga Novarese ecco la sgradita sorpresa annunciata la settimana scorsa: su un cartello si legge inequivocabilmente la dicitura "Fiume Agogna". Ma come, e tutti i discorsi fatti finora?
Rimanendo alla metafora calcistica cambierebbe il risultato, 2-1 per l'Agogna torrente più lungo d'Italia. Però mi sembra un gol nettamente in fuorigioco e quindi, come arbitro (clamorosamente parziale) lo annullo senz'altro. Sarà stata la svista di qualche addetto poco attento.


Chiuso l'incidente... da Briga in poi l'Agogna "risale" quasi completamente immersa tra i boschi, diventando, tra l'altro, un ottimo percorso scuola per canoisti. Ho bypassato questo tratto poco accessibile per ritrovarmi, poco dopo, di fronte a un idilliaco e discosto villaggio rurale, Pezzasco, accolto dall'abbaiare di cani, senza peraltro veder anima viva (e dire che siamo a pochissimi km da Orta San Giulio, brulicante di turisti). Eppure ci abiterà qualcuno, a giudicare dal groviglio di fili elettrici che deturpano il paesaggio.
Immerso nel verde, il villaggio di Pezzasco








Dove saranno i villici? Il torrente qui è estremamente pulito e invitante in una giornata estiva e Corinne non si fa pregare un secondo per mettere al fresco le sue zampine,
non lontano da un'antico e scenografico ponticello in pietra, immerso nel verde.
Il ponte in pietra sul torrente, presso Pezzasco
Più avanti il torrente risale ancora verso la sua origine deviando nettamente a destra, prima del paese di Armeno, per il suo ultimo (o meglio... primo) tratto, noto come "Valle dell'Agogna" . Qui il suo percorso è seguito, più o meno, da una strada che collega Lago d'Orta e Lago Maggiore e che, da tempo immemorabile, è quindi detta "Delle Due Riviere".
Fienagione nella valle dell'Agogna
Eppure non è che sia granché frequentata... meglio così. E anche l'ambiente è rimasto quello che mi ricordo fin da bambino, punteggiato da vetusti cascinali, tra boschi e pascoli, dove ancora qualcuno, fortunatamente, resiste a presidiare il territorio dall'abbandono. L'Agogna si fa sempre più spumeggiante torrentello di montagna e oramai volge lo sguardo versi i più ripidi pendii di suo "padre", il Mottarone, dove, a circa 1100 metri, tra l'Alpe Nuovo e l'Alpe della Volpe zampillano, da diverse sorgenti, le sue prime acque, quelle stesse (magari un po' meno pure) che, dopo un viaggio di 140 km, si getteranno nel Po. Accompagnato da Corinne e sentendomi un po' come Livingstone, mi sono messo alla ricerca delle sorgenti dell'Agogna, in fondo un po' il mio “Nilo”.
Il primo impluvio dell'Agogna...
E così ci siamo addentrati in una fitto bosco, a ridosso della provinciale del Mottarone, dove si apre una valletta appena accennata che accoglie il primigenio impluvio del torrente e, qualche decina di metri più in alto, la sua sorgente... Giunto alla fine, o all'inizio... allora c'è o non c'è questo primato? Secondo me sì, e se si va a spulciare wikipedia alla voce Agogna, è classificata come torrente... ma una noticina avverte "nonostante le caratteristiche di fiume", noticina forse aggiunta per giustificare il fatto che figura anche nella "classifica" dei fiumi. E allora come si esce dal dilemma?
...e finalmente, sotto una roccia, la sua sorgente
 Qualcuno ha tentato di risolverlo già molto tempo fa, addirittura un senatore del Regno di Sardegna, l'avvocato Giacomo Giovanetti (1787-1849) tipo molto esperto di acque che, per tagliare la testa al toro, dopo averne studiato le caratteristiche, definì l'Agogna "fiume-torrente". E qui potrebbe partire un'altra classifica, anche questa tutta da scrivere... ma io preferisco, in attesa di smentite, tenermi la mia...

martedì 14 luglio 2015

Agogna, il torrente più lungo d'Italia (1° puntata)

Trovare una piccola falla nelle articolate e illimitate informazioni della rete su uno degli innumerevoli interrogativi che possono balenare improvvisamente in mente è quasi impossibile. Forse, e sottolineo forse, sono riuscito nell'impresa, mettendo ovviamente in conto di essere clamorosamente smentito. Non ho finora trovato traccia infatti di un'ipotetica classifica dei torrenti più lunghi d'Italia. Lacuna di "enorme" importanza (... si fa per dire, eh!) scoperta grazie a quella punta di spirito campanilistico che alberga in ogni italiano. E chi occupa - secondo me - al primo posto, ovviamente è delle mie parti...
Il torrente Agogna presso la sua confluenza nel Po
Il torrente in questione si chiama Agogna e scorre tra Piemonte e Lombardia, attraversando le province di Novara, un "pezzettino" di Vco,  e di Pavia,  raggiungendo la ragguardevole lunghezza di 140 km, dalle sorgenti alle falde del Mottarone fino alla sua confluenza nel grande Po. Per la verità se andiamo a vedere la classifica dei fiumi d'Italia, l'Agogna è inserita al 28° posto assoluto... ma allora è un fiume? Assillato da questo amletico dilemma, cui  tenterò di dare una risposta definitiva nella prossima puntata, mi sono messo in mente di seguire o meglio di inseguire il corso del torrente a ritroso, saltabeccando qua e là e risalendo fino al suo scaturire... così, tanto per togliere un po' di anonimato al corso d'acqua più tipicamente legato ai miei campanili. Scoprendo che poi così anonimo non è.
Nei pressi di Balossa Bigli...
In un'estate pazzescamente calda, sfidando zanzare e moscerini di ogni specie, cartina alla mano, ho cominciato quindi dal fondo, presso un piccolissimo villaggio dal nome improponibile: Balossa Bigli (frazione di Mezzana Bigli) in provincia di Pavia, sulle rive del Po.
E' lì, quasi mimetizzata in un boschetto, che si raggiunge, con un po' di fatica, la confluenza dell'Agogna nel Po. Confluenza quasi timida, al cospetto del grande fiume. 
... l'abbraccio col grande fiume
Eppure ci fu un periodo della storia in cui, geo-politicamente parlando, il piccolo torrente visse un attimo di notorietà: quando, in epoca napoleonica, a qualcuno venne in mente di battezzare le divisioni amministrative con i nomi dei corsi d'acqua, noti o meno noti che fossero.  
Ed ecco,  tra il 1800 e il 1814, la stagione del Dipartimento dell'Agogna, territorio che comprendeva le attuali province del Vco e di Novara e parte di quella di Vercelli e di Pavia.
L'Italia napoleonica dei dipartimenti "fluviali"
                        Chissà perché  "Dipartimento dell'Agogna" e non del - ben più importante - "Ticino"? 
Mentre mi pongo questo interrogativo senza risposte, vagando tra le stradine della plaga risicola Lomellina e risalendo il corso d'acqua, incontro  un piccolo gioiello architettonico - ovviamente chiuso - che quasi si appoggia sulle sue rive: la Pieve di Velezzo con il battistero romanico del XI secolo, non a caso situato vicino all'acqua. Non lontano da questo luogo dimenticato, il paese di Lomello, che dà nome a questa terra, con il complesso monumentale di Santa Maria comprendente la basilica e un altro magnifico battistero paleocristiano.

Tra le risaie e il torrente, la Pieve di Velezzo
Non male le sorprese dell'Agogna...

Si prosegue verso nord con una quasi impercettibile salita verso la pianura novarese, dove l'Agogna scorre libera, capace di sorprendere la campagna con le sue impetuose piene, erodendo inesorabilmente rive che si rivestono di inusitata wilderness, se si pensa che si è a pochissimi chilometri da Novara.
L'Agogna a Monticello, a pochissimi km da Novara

Già, il centro più importante lambito dal torrente. Quell'Agogna amatissima dai novaresi, specie quelli "di una certa età" che ne esaltano, un po' nostalgicamente, lontane stagioni di rinfrescanti bagni estivi, pesche miracolose, amori adolescenziali sbocciati sulle sue rive e, addirittura, presunte saluberrime proprietà... se è vero che qui sorgeva una colonia elioterapica per i bambini, attiva addirittura ancora per molti anni nel dopoguerra.
La colonia elioterapica, come si presenta oggi
A proposito, mettendo al bando i sentimentalismi, e tornando al dilemma di partenza, non posso non notare che fino a questo punto in tutti i luoghi dove ho varcato ponti sull'Agogna, i cartelli toponomastici non hanno avuto dubbi: "Torrente Agogna". Del resto anche su tutte le cartine moderne non ho mai trovato associata la definizione "fiume". Bene, 1 - 0 
per l'Agogna come torrente più lungo d'Italia, anzi 2 - 0 (tenendo pure conto che scorre proprio dietro lo stadio intitolato a Silvio Piola). Proseguo nella mia ricerca puntando decisamente verso nord, nell'alta pianura novarese, dove già si intuisce nettamente, malgrado la foschia,  la vicinanza con le montagne. L'Agogna scende con un fare tipico da understatement piemontese, tenendosi a "distanza di sicurezza" dalle principali direttrici stradali, quasi a voler ricordare i tempi di antichi guadi ormai scomparsi e ritornando "protagonista" solo a Borgomanero, dove si insinua nel centro della cittadina, ormai in vista del Mottarone. Poco più in là, il paese di Briga Novarese, dove mi attende una sorpresa, un po' sgradita.

mercoledì 1 luglio 2015

Gattico, quella pietra "impregnata" di umanità

Preia d’Argòi, Sass dal burlin, Preia güzza, Preia da scalavè, Sass Malò... sulle modeste alture a meridione del Lago Maggiore, ci sono luoghi dove le pietre (preie o sass a seconda dei casi) si chiamano per nome, rigorosamente in lingua locale. E' una specie di composito argine, quello che chiude il Verbano: nient'altro di ciò che rimane di antiche colline moreniche, modellate dalla forza degli antichi ghiacciai. Gli stessi che scavarono il solco del Verbano e di altri laghi prealpini. E' un ambiente strano, quello di questi dossi del medio novarese, dove si respira un'atmosfera particolare, oserei dire ancestrale, oltre il tempo.
Il tipico bosco delle colline moreniche a meridione del Verbano
E' qui - in genere mimetizzati tra fitti boschi - che si incontrano le pietre "con un nome", i
massi erratici, "imponenti blocchi rocciosi trasportati dal ghiacciaio e depositati dove capitava quando questo si è ritirato". Al di là dell' asettica definizione, l'incontro con un masso erratico ha in sé qualcosa di sacrale... E in effetti queste gigantesche pietre sono conosciute per la memoria di antichissimi riti pagani che sono sopravvissuti fin quasi in epoche moderne.
Appare il "Sass Malò"
Da quanto tempo sono lì questi "regali" lasciati dall'ultimo grande periodo glaciale? Forse 12-13 mila anni... un niente nella storia della terra, ma un periodo immenso se paragonato alla vita di un uomo. Diciamo che sono "da sempre" lì quelle pietre, solitarie, imponenti... da rispettare. Così come lo facevano le tribù celtiche autoctone che le consideravano magiche, taumaturgiche, depositarie di profonde forze naturali. Non è difficile immaginare riti druidici quando ci si trova di fronte al
Sass Malò, presso Gattico.


Per arrivarci bisogna addentrarsi in un fitto bosco dove le specie autoctone come il pino silvestre e la farnia contendono a fatica il terreno all'onnipresente robinia. Il Sass pare nascondersi fino all'ultimo fin quando appare nelle sue dimensioni. Un incontro condito da un minimo di inquietudine. Non per niente il suo nome deriverebbe da malo loco, luogo malvagio, pericoloso, da evitare o addirittura da temere, secondo la chiesa medioevale, così come tutti gli antichi siti di culto pagani. Non è un caso che in epoca successiva si tramandava la leggenda che il Sass fosse stato depositato da perfide streghe durante un'alluvione. Mentre sotto il masso si trovava l'antro delle megere, tra cui Mangiamatài, strega mangia bambini. Una pietra adibita per secoli anche per propiziare la fertilità delle donne, con lo sfregamento del corpo su di essa.
Ma, dopo un momento di circospezione, non si può che rimanere ammaliati da questa piccola meraviglia della natura. Anzi, la sensazione di possanza e insieme di pace di questo luogo ha contagiato la mia piccola Corinne, che, incurante degli invitanti odori del bosco, ha preferito per un po' accucciarsi ai piedi della roccia, senza che io le indicassi nulla. Mi piace pensare che lei abbia sentito qualcosa di "speciale", parlando con la pietra in una lingua che noi  ormai abbiamo dimenticato.
Un "dialogo" tra Corinne e il "Sass Malò"?
Una pietra in qualche modo impregnata di umanità, di storie antiche di uomini e donne che sono passate di qui, di sortilegi, di paure, di superstizioni ma anche di quel rispetto per la natura tramandato per generazioni e ora quasi svanito negli ultimi decenni. Un'osmosi da vivere anche con un "semplice" masso, come insegnano sensibili parole dei nativi americani:
Io sono una roccia, ho visto la vita e la morte,
ho conosciuto la fortuna, la preoccupazione e il dolore.
Io vivo una vita da roccia.
Sono una parte di nostra Madre, La Terra.
Ho sentito battere il suo cuore sul mio,
ho sentito i suoi dolori e la sua gioia.
Io vivo una vita da roccia....
.Io sono parente delle stelle.
Io posso parlare, quando conversi con me
e ti ascolterò, quando parlerai...