sabato 26 giugno 2021

Belluno "porta" Dante, Tasso e... tasse

In un tempo molto lontano (... ma mi capita ancora adesso per la verità) mi piaceva guardare le cartine stradali d'Italia e immaginarmi questo o quel posto. Sperando, prima o poi, di andarci. Belluno, non so  perchè, rispetto ad altre città di provincia sparse per lo Stivale per certi versi simili, mi è sempre suonato come un luogo un po' sperduto, una specie di "altrove" ignoto e lontano.
Dopo lunghi decenni, finalmente, quell' "altrove" si è svelato nella calda giornata solstiziale del 2021. Il primo aggettivo che mi viene in mente da dedicare a questa città è "graziosa", il secondo "intima". A dispetto della amplissima piazza dei Martiri, il cosidetto liston, must dello struscio per gli autoctoni, così ho letto, il cuore di Belluno  si articola in tutta una serie di piazzette e viuzze porticate di una  piacevole eleganza d'antan.





Un portale,
sormontato da un busto dedicato a Dante e datato al sesto anniversario della nascita, il 1865, quasi un auspicio  per i Plebisciti che, un anno dopo, resero il Veneto italiano, da Piazza Martiri introduce al centro storico di Belluno.

Ma che ci sia un legame particolare tra l'Alighieri e Belluno lo scopro per caso, durante un'estemporanea e non programmata visita guidata presso la Biblioteca gregoriana. Qui infatti è conservato un preziosissimo manoscritto trecentesco della Divina Commedia,
una delle più antiche testimonianze della vulgata dantesca, conosciuta come il "codice Lolliniano" (da Alvise Lollino, vescovo e umanista bellunese).

Dopo la vista, raggiungendo  Piazza Mercato, fatto sta che appare invece in alto su un elegante palazzotto, il ritratto  di Torquato Tasso. Che ci sia un legame bellunese con un altro grande?


In effetti vengo a scoprire che nel 1782 fu data alla stampe la Gerosalem Liberada, versione in dialetto bellunese del  poema, o meglio in lengua rustega belunes, scritta da Giuseppe Coraulo, detto Barba Sep dal Piai, notaio, agronomo e poeta, opera che fu dedicata tanto ai spetabili  deputadi  che ai boni contadini della vallata bellunese. Che sia stata la dimora del Barba Sep?

Preso da questo interrogativo mi ritrovo in un luogo, presso la chiesa di Santo Stefano, pieno di tranquillità e di piante di rose, dove svanisce il dilemma Tasso e, almeno per i bellunesi, si materializzano... le tasse essendo sede della Agenzia delle entrate: si chiama  Chiostro dei Serviti... un nome, un destino.


 

martedì 9 marzo 2021

SUI MURI... IL "PICCOLO MONDO ANTICO" DI MAGGIORA

… Ma il padrone della Tabaccheria s’è affacciato sulla porta e vi è rimasto./ Lo guardo con il fastidio della testa piegata male e con il disagio dell’anima che sta intuendo./ Lui morirà ed io morirò./ Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi. A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi./ Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna, /e la lingua in cui furono scritti i versi…” A Maggiora (Novara), presso piazza Caduti, appare un’antica insegna, più unica che rara, che così recita: “Regia vendita di sale e tabacco”… o meglio, si intuisce che così reciti, visto che la scritta pare non si sottragga al destino descritto nella poesia “Tabaccheria” di Álvaro De Campos, uno degli eteronimi dello scrittore portoghese Fernando Pessoa.

In ogni caso un’epigrafe che riporta a tempi antichi, quando prima il Regno di Sardegna e poi il Regno d’Italia assunsero la produzione e la distribuzione di sali e tabacchi in regime di monopolio con l'obiettivo di massimizzare i proventi dello sfruttamento delle connesse attività economiche a favore dello stato. Dal 1862 il monopolio fu gestito tramite la Direzione generale delle gabelle, che derivava del resto dall’omologa struttura preunitaria sabauda: da essa dipendevano anche i servizi delle dogane, delle manifatture di tabacchi, delle saline, dei dazi di consumo e il corpo della Guardia doganale, divenuto, nel 1881, Guardia di Finanza. La memoria di una “privativa”, quella di Maggiora, che ci riconduce a remote atmosfere di un appartato borgo di collina dove… facendo pochi passi più in là in piazza, si trovava un negozio dove avremmo potuto acquistare tutto quel poco utile a soddisfare parchi bisogni. Altra insegna, anche questa solo parzialmente leggibile, al di sopra di un umile portoncino in legno, riporta infatti l’iscrizione “Chincaglieria e commestibili”.

Una commistione merceologica di tempi andati quando in esigui negozietti si poteva trovare un po’ di tutto, comprese quelle “chincaglierie”, parola anch’essa obsoleta, un francesismo (“quincaillerie”) che indentifica genericamente qualsiasi piccolo oggetto di uso domestico o cianfrusaglie varie. Davvero atmosfere d’antan rinforzate, girato l’angolo, da un’altra porticina chiusa sormontata da una scritta, “Monte di pietà - Opera Pia Antonelli”, là dove si poteva accedere a un piccolo prestito per le esigenze della quotidianità in cambio di un pegno.

Una tranquilla esistenza di paese, che avrebbe potuto essere scossa da vicende generali e incombenti, una delle quali è testimoniata da un eloquente e fatidico motto che, parzialmente coperto, ancora compare nel centro di Maggiora: “L’Italia desidera la pace ma non teme la guerra”.