giovedì 25 ottobre 2018

Bominaco… Carlo Magno e i capolavori “mimetici” aquilani


Vagabondando nelle montagne intorno all’Aquila e capitando un borgo medioevale  di poche anime, Bominaco, a quasi mille metri di altitudine, mai potevo aspettarmi che un semplice cartello turistico  potesse presupporre una doppia, anzi tripla sorpresa. La prima è, intanto, che il complesso monumentale indicato in realtà svela, tra il fitto delle selve, due chiese, Santa Maria Assunta e San Pellegrino; la seconda è che una targhetta all’entrata del complesso, chiuso, indica un numero di telefono per visite guidate… fantastico!… Il bello è che nel giro di pochi minuti la guida, autoctona, è lì a tua disposizione. Beh, che volere di più? … La terza è che, ad onta dell’impressione esterna delle due chiese, molto simile a tante altre che si incontrano nell’Italia centrale, all’interno ci sono particolarità eccezionali. Mentre San Pellegrino pare sia stato fondato addirittura da Carlo Magno, di passaggio da queste parti, la chiesa benedettina Santa Maria Assunta, iniziata alla fine dell’anno mille secondo i canoni classici dell’architettura romanica, svela una eccezionale decorazione lapidea, dai capitelli a uno sfarzosissimo ambone quasi cesellato, per non parlare - appoggiato su un leone - di una colonna “cero pasquale” che, in queste dimensioni, dice la guida, pare non abbia uguali…






Ma è la piccola chiesetta di San Pellegrino che svela un incredibile ciclo di affreschi, ciò che la fa definire la “Cappella Sistina d’Abruzzo”: oltre a un elaboratissimo calendario con figure legate a ogni mese, giorni, annotazioni liturgiche, segni zodiacali e fasi lunari, il ciclo racconta la vita di Cristo, dal Vangelo dell’Infanzia alla Passione… ma senza Crocifissione perché, dice la guida, secondo la teologia monastica era la comunità ad attualizzarla celebrando l’eucaristia, come manca la scena della Resurrezione perché Cristo risorto è la stessa comunità. Comunque sia, una cosa la lasciare a bocca aperta…

venerdì 28 settembre 2018

Bosa: colori, severi ammonimenti e una salvifica pizza


Meriterebbe più di una visita "mordi e fuggi", eppure è bastato un piccolo "assaggio" per intuire un’anima particolare, quasi un "altrove" in terra sarda.
Bosa (Oristano) colpisce subito con la sua tavolozza di colori, con le sue centinaia di casette a tinta pastello, con una miriade di vicoli, tutti rigorosamente in salita, che ti fanno ricordare un pochino i carrugi liguri.
Poi, su un fiume, il Temo, unico corso d’acqua navigabile della Sardegna (anche se solo per qualche chilometro), tutta una serie di piccole costruzioni sorelle addossate le une alle altre, che si affacciano sulle rive del fiume stesso.
Queste sono le "concerie", dismesse negli anni Sessanta del secolo scorso (oggi monumento nazionale) che raggiunsero il loro massimo fulgore indistriale nel corso dell’Ottocento.
Sono un po’ l’unica zona in piano perché a Bosa non si può che salire, come sembra suggerire una fantastica vite capace di arrampicarsi fin sul tetto di una casa. L’obiettivo del "mordi e fuggi" non può che essere uno: il Castello di Serravalle che domina dall’alto la cascata di colori della cittadina. Sotto il sole il cammino si fa arduo, specie verso la fine, con una serie di interminabili scalinate.
Ma la fatica viene ripagata da uno splendido panorama e da un piccolo gioiello: la "Chiesa di nostra Signora de Sos Regnos Altos"… del resto essendo dei  “regni alti” non poteva essere se non qui. All’interno uno splendido ciclo di affreschi tre-quattrocenteschi dove, da una parte c’è un San Giacomo Maggiore, unico maschio… tra le tante sante.
Una sorta di beatitudine contrappuntata, dal lato opposto, da un severo ammonimento. San Macario sta lì ad indicare a tre giovani nobili cosa, in ultima analisi, li attenderà: morte e decomposizione della carni con tanto di figurazione in “tre stadi” su cosa succede sotto terra…
E’ un unicum in tutta la Sardegna questa iconografia medioevale dell’ "Incontro dei tre vivi con i tre morti", ovverosia "ciò che sarete voi, noi siamo adesso". Così anche al turista vacanziero non resta che meditare un attimo, ad onta dello splendido sole all’esterno. Ma il "mordi e fuggi" si conclude  con un vero morso… la fantastica pizza al taglio di Giovanni, un must di Bosa, che riporta in un attimo a intensi piaceri terreni… la meditazione proseguirà un’altra volta.

mercoledì 29 agosto 2018

Capo Testa, ovvero la fantasia al potere...


Capo Testa (Santa Teresa di Gallura) è uno di quei posti dove è meglio andare di buon’ora, altrimenti si deve fare i conti con lotte all’ultimo sangue per un parcheggio e con orde di “cannibali” alla caccia di un posto al sole nell’ultimo lembo di spiaggia disponibile. Fatto questo, il luogo (un promontorio che, di fatto, è un'isola) ti ripaga immediatamente con la sua anima “granitica” declinata in un caleidoscopio di figure e strane forme modellate dagli elementi che lasciano spazio alla fantasia di ognuno nel battezzarle con un nome. Su alcune, però, l’immaginazione potrebbe essere quasi univoca: “l’alieno”, “il monaco”,  “la cascata di pietra”, “il gabbiano infelice”… a dominare il tutto il biancore del silente faro (come tutti i suoi “fratelli” ormai automatizzato) e, intorno, un mare da favola.






giovedì 7 giugno 2018

Cervo: L’albero dei buoni pensieri e la finestra dei sogni...


Rispetto ad altri borghi dell’entroterra imperiese Cervo ha un’anima decisamente diversa. Un po’ perché vero e proprio entroterra non è, visto che appare come una sorta di balconata sopraelevata sul mare, un po’ perché si respira un’ atmosfera dai tratti, per così dire, insieme turistici e nobili. Non per niente l’entrata del borgo vecchio, un tempo feudo dei Cavalieri di Malta, è quasi sigillata dal castello dei marchesi Clavesana che nasconde all’occhio gli umili carrugi che scendono a valle.
Carrugi d’altra parte mai visti, come in altri luoghi simili, in tale nitore e pulizia.


Tutti che conducono, quasi inevitabilmente, a un altro nobile monumento che chiude verso il basso il borgo, la chiesa di San Giovanni Battista (detta anche “dei corallini” perché costruita grazie ai proventi della pesca del corallo), che si erge fiera dalla sua perfezione stilistica barocca, ma è anche fantastico punto panoramico sul Golfo dianese nonché inconfondibile “quinta” del territorio per chi va per mare da queste parti.
Cervo, una bellezza asettica? No, forse bisogna saper ascoltare e vedere aspetti più intimi. Capita di incontrare in un discosto carrugio un piccolo ulivo, con un cd appeso a un rametto… è l’“albero dei buoni pensieri”, quasi un invito a lasciarsi prendere per mano, qui,  dalla calda bellezza mediterranea e  lasciare ogni preoccupazione.
L’albero sembra indicare a un elegante palazzotto “fiorito” dove, lassù, in alto,  piacerebbe vedersi appoggiati al davanzale di una finestra “immaginifica” che fronteggia solo il mare. Si apre, un po’ timidamente, solo per metà, in attesa di spalancarsi per cogliere in pieno l’abbraccio dell’estate ormai prossima, nei momenti in cui la luce sembra estendersi oltre i confini del giorno…



Fermarmi qui. Per vedere anch'io un po' di natura.
Luminosi azzurri e gialle sponde
del mare al mattino e del cielo limpido: tutto
è bello e in piena luce.

Fermarmi qui. E illudermi di vederli
(e davvero li vidi un attimo appena mi fermai);
e non vedere anche qui le mie fantasie,
i miei ricordi, le visioni del piacere.


(Mare al mattino, Konstantinos Kafavis)


mercoledì 28 febbraio 2018

Valli ossolane: dighe e grandi opere ingegneristiche del '900

Vecchie foto (rifotografate, alla velocissima, in qualche modo...) di grandi opere ingegneristiche del secolo scorso, tra gli anni ’20 e gli anni ’30. In gran parte dighe e centrali costruite dall’impresa Girola per i fornitori di energia elettrica del tempo. Opere dal grande impatto ambientale - sacrificarono interi villaggi walser come Agaro e Morasco, scomparsi sotto le acque dei laghi artificiali - che diedero forte impulso all’economia ossolana e non solo, ma ormai facenti parte a pieno diritto del paesaggio delle alte valli. Testimonianze di competenze ingegneristiche di altissimo livello e, insieme, del duro e intrepido lavoro dei semplici operai in condizioni a volte estreme.