martedì 30 giugno 2020

"La segreta e irresistibile" attrazione per le rovine

A Casaleggio Novara, Barengo, Gattico e Borgoticino

"Tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine”, scriveva François-René de Chateaubriand nel 1802 nella sua opera “Génie du Christianisme”. Anche prescindendo da suggestioni romantiche è innegabile che questa sorta di magnetismo permanga nella contemporaneità. Motivazioni? Qualche studioso si è spinto ad affermare che “il fascino della rovina sta in ultima analisi nel fatto che un'opera dell'uomo possa esser percepita come un prodotto della natura”, originato dalla sua forza distruttrice. Ma può essere semplicemente curiosità… e in questo senso nella provincia di Novara non mancano spunti per appagare i “cacciatori di rovine”, anche solo a livello di scatti fotografici e non contando gli appassionati (…e ce ne sono) alla ricerca di spunti esoterici.

A parte gli innumerevoli “relitti” industriali o civili, ci concentriamo qui su quattro antichi e diruti edifici religiosi uniti da due possibili itinerari, rispettivamente nella media e nell’alta provincia di Novara.

Si inizia da Casaleggio, per la precisione Casaleggio Novara, questa la denominazione ufficiale del borgo, dove si staglia, a destra della provinciale che conduce a Castellazzo Novarese, una notevole rovina, ormai in parte coperta di vegetazione. Location estremamente “fotogenica”, anche grazie allo sfondo della catena alpina e alla sua posizione isolata nelle campagne. Si tratta di un’antica chiesa, abbandonata da moltissimo tempo, dedicata a Sant’Antonio Abate. Costruzione a tre navate, documentata fin dal 1556, questa ecclesia ruralis sancti Antonij risulta sormontata da uno svettante campanile forse quattro-cinquecentesco. Nel 1573 “è  - si legge in un contributo di Franco Dessilani su Novarien -  dotata di altare maggiore e di due altari laterali, ha beni immobili con reddito di 3 scudi goduti dal laico novarese Scipione Gallerati”.


Da notare che Casaleggio, analogamente a Vicolungo, Biandrate, Landiona, Recetto, Casalbeltrame e San Nazzaro Sesia, è territorio extradiocesano, appartenendo all’arcidiocesi vercellese.


Lasciando perdere storie fantasiose legate allo spirito dell’ultimo parroco che si aggirerebbe nei paraggi per ritrovare un suo tesoro, Sant’Antonio ha un fascino particolare e un grande appeal fotografico nella stagione della sommersione delle risaie, quando il riflesso della rovina, di una certa imponenza, si specchia nell’acqua.

In breve, via Castellazzo - Proh, si può puntare su una seconda chiesa, in territorio di Barengo. Ben più “mimetizzata” della precedente, si trova a destra della provinciale in direzione Cavaglio. In corrispondenza del Parco delle Cicogne, si percorre una strada di campagna per due-trecento metri fino a quando, in una boscaglia, sulla destra (c’è anche un cartello esplicativo), appare ciò che resta dell’Oratorio di San Clemente. Edificio di vetusta fondazione (le modalità di costruzione delle pareti laterali consentono di far risalire l’edificazione ai secoli XI-XII) fu innalzato probabilmente presso un originario insediamento abitativo di Barengo, sulla direttrice di un antico e importante guado sull’Agogna, verso Momo.



La rovina, a navata unica, dal fascino, per così dire, ossianico, intrisa di mistero e spettralità, presenta della costruzione romanica originaria ormai solo i muri perimetrali, mentre l’antica abside fu sostituita nel corso del XVIII secolo da un alto presbiterio, che tutt’oggi si eleva tra la vegetazione. La chiesa di San Clemente, citata nel 1347 visse il suo periodo migliore in epoca rinascimentale quando venne arricchita da notevoli affreschi quattrocenteschi (probabilmente opera del “Maestro di Borgomanero”), due dei quali (“Gesù e gli Apostoli” e “Madonna con Bambino adorati dalla nobile famiglia Tornielli”) nel 1930 vennero strappati e collocati nell’arengo del Broletto di Novara. Abbandonata già nel XVIII secolo (il presbiterio è infatti parte di una ristrutturazione mai completata) fu ancora adibita nel secolo scorso come stazione delle rogazioni, prima di essere lasciata a un completo abbandono. Tuttavia oggi esistono progetti di valorizzazione e conservazione per questo emblematico sito del medio novarese, nell’ambito del “Contratto di Fiume per il torrente Agogna”, a cura dell’Associazione Aquario 2012.

Passando al territorio dell’alta provincia, la chiesa di San Martino di Gattico, vera basilica nei boschi, si trova poco fuori dall’abitato (indicazioni sulla rotabile che porta ad Arona) presso una strada campestre che conduce all’antico castrum di Borgo Agnello a Paruzzaro: è una rovina grandiosa, rimasta “fedele” al suo primigenio stile, nonché quella che ha goduto di importanti interventi di tutela ed è preceduta da un enigmatico e incavato monolite in pietra (un antico fonte battesimale… o forse un’ara sacrificale barbarica, secondo lo storico Stoppa).



Suggestioni trasudano dalle pietre granitiche di questa costruzione, austera ed elegante nelle sue tre navate absidate, nominata nel 1157 dall’arciprete Stefano di Cureggio in relazione  alle consacrazioni delle chiese di Caristo, Cureggio e Gattico. In ogni caso è attestata come caput plebis nel 1357.




Anche se, secondo alcuni studiosi non è certo che lo fosse proprio San Martino mentre, addirittura, altri sostengono che il tetto e il pavimento non siano mai esistiti. Fatto certo è che nel 1585 e poi nel 1677 visite pastorali la definiscono sub dio, senza tetto, pericolante e meritevole di essere riedificata, cosa che non avvenne.




Anzi, nei secoli se ne accentuò il degrado e la depredazione dei preziosi blocchi di serizzo, fino al restauro conservativo e alla messa in sicurezza degli anni ’80 del secolo scorso. Rimane insoluto il mistero legato alla sua decadenza.


Poco lontano da Gattico, a Borgoticino, si ergono le residue rovine della chiesa di San Zeno, immersa nella foresta del Bosco Solivo. Arrivarci può essere una simpatica “caccia al tesoro” familiare. Ma non così difficile, però. Da Borgoticino, al termine di via Valle, si risale per qualche centinaio di metri la strada sterrata che si addentra nel bosco. In prossimità di un’area pic nic, sulla destra, alcune semplici indicazioni conducono in circa un quarto d’ora di cammino tra gli alberi a San Zeno. Appaiono, di questa vetusta costruzione romanica, alcuni resti dei muri della navata e del perimetro dell’abside.




Tutto ciò che rimane di questa chiesa, già ricordata nel XVII secolo come distrutta, è ormai quasi “assorbito” dalla natura… “Circola il vento nelle rovine, e i loro innumerabili fori divengono altrettante gole donde escono mille lamentevoli suoni… alle aperture delle cupole tremolar si mirano delle lunghe erbe; mentre al di sopra di tale aperture vedesi fuggir la nuvola…”




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