“La
mattina del 13 marzo 1271 durante la celebrazione della messa Guido e Simone di
Monforte uccisero proditoriamente per antico odio famigliare Enrico di
Cornovaglia. A lui non valse la santità del luogo, il rifugiarsi tra le braccia
del celebrante, la presenza dei cardinali riuniti in conclave…”.
Già
solo il leggere una negletta lapide (destino comune a quasi tutte, del resto)
sulla chiesa del Gesù a Viterbo ti proietta immediatamente nella storia (e
nelle storie) di una città che come poche ha conservato un’anima medioevale,
con ancora percepibili ascendenze etrusche, ben riconoscibile in un centro
storico, ad onta dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
La città del
primo conclave sembra specchiarsi nell’elegantissima loggia del Palazzo dei
Papi che ritaglia il cielo entro le sue esili colonnine binate ma è anche
l’immaginifica e proteiforme location scelta per film come i “Vitelloni” di
Fellini, “Otello” di Orson Welles, “Il Vigile” con Alberto Sordi per arrivare
alle più recenti produzioni di fiction come “Il maresciallo Rocca” o “Catch
22”.
Si
percepisce nettamente un senso di antichità (d’altra parte pare che Viterbo
derivi il suo nome da latino Vetus Urbs)
passeggiando, con la dovuta calma, in un intrigante centro storico dove capita
di incontrare un pulpito… fuori da una chiesa, quella di Santa Maria Nuova (con
all’interno ben tre fantastiche crocifissioni affrescate), donde Tommaso
D’Aquino esortò i viterbesi a far pace con gli orvietani.
Dietro
a ogni andito qualche sorpresa… una lapide ricorda un lascito testamentario di
certi Guido e Diletta che nel XIII secolo istituirono la loro casa a ospizio
dei pellegrini con annessa una maledizione davvero ben articolata: “Nessun
vescovo, o abate, o altra persona, abbia potere di disporre o asportare
alcunché da questo luogo, senza il parere di tutti i chierici e laici maggiori
e minori di questa città. Se alcuno vorrà fare altrimenti, sia
maledetto da Dio onnipotente, dalla beata Vergine Maria, dagli angeli, dagli
apostoli e da tutti i santi e sia condannato insieme a Giuda, Pilato, Anna,
Caifa, Dathan, Abiron, Erode e tutti quelli che dissero al Signore Iddio:
allontanati da noi fiat, fiat.”
Chissa se l'anatema avrà funzionato, dato che dal secolo scorso il palazzo non è più adibito alla destinazione originaria? Ma l'impressione è quella di una città oltremodo accogliente, "amichevole", forse retaggio dell'essere secolare tappa della Via Francigena che di qui passava e passa. Quartiere San Pellegrino, Chiesa di San Pellegrino, Piazza San Pellegrino, Via San Pellegrino, Ex ospizio dei pellegrini... qui è tutto un richiamo all'ospitalità.
Chissa se l'anatema avrà funzionato, dato che dal secolo scorso il palazzo non è più adibito alla destinazione originaria? Ma l'impressione è quella di una città oltremodo accogliente, "amichevole", forse retaggio dell'essere secolare tappa della Via Francigena che di qui passava e passa. Quartiere San Pellegrino, Chiesa di San Pellegrino, Piazza San Pellegrino, Via San Pellegrino, Ex ospizio dei pellegrini... qui è tutto un richiamo all'ospitalità.
Ma non solo, a rimarcare quell’impressione una ulteriore scritta
scolpita. A dispetto di essere una città
papale, un’enigmatica epigrafe, al di sopra di una porticina murata (la
medioevale “Porta Sonsa”, un tempo situata presso uno degli accessi alla città)
parla di un grande concessione imperiale, forse riferita a Enrico VI, figlio
del Barbarossa: “Mi chiamo Sonsa - porta di Viterbo la splendida - grande il
mio nome - eterni i miei privilegi- chiunque sia gravato da condizione servile
- se mio cittadino si faccia, sia considerato uomo libero- il sommo imperatore
Enrico mi concesse questo privilegio…” A chi poi i viterbesi fossero pronti a riconoscere il diritto di cittadinanza rimane questione oscura, fatto sta che una visita di soli due giorni mi ha lasciato un inusitato senso di appartenenza e familiarità... e questo è certo.
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