lunedì 5 ottobre 2020

Rocchetta Alta, il candido lenzuolo di un paese fantasma

È uno dei tanti borghi in Italia che si meritano l’appellativo di “paese fantasma”: in sostanza vuol dire abbandonato e semidistrutto. Il paradigma di questi luoghi è spesso comune, ovvero un destino costruito (si fa per dire) su frane, terremoti, emigrazione, guerra, isolamento. Destino ineluttabile ma che, in qualche modo, ripaga con quella “segreta attrazione per le rovine” che, di fatto, è irresistibile per molti. Così è anche per Rocchetta Alta, nel cuore del Molise, alle pendici delle Mainarde e non lontano dalle sorgenti del Volturno. La incontro in una giornata di fine settembre. La solitudine e l’abbandono che si respira è totale, malgrado l’attiguità di alcune orride case moderne, costruite, suppongo, per ospitare i "fuggitivi" del paese antico.








Nessuno, quindi, in giro. Sul fatto che proprio qui, in posizione tanto “scomoda”, abbarbicati sulla costa della montagna, si sia voluto, nella notte dei tempi, edificare un borgo pare sia dovuto all’esigenza di sfuggire, in epoche medioevali, alle orde dei saraceni, che rasero al suolo l’originario agglomerato di Bactaria, più in basso. Comunque sia Rocchetta, infeudata nei secoli a tutta una serie di signorotti locali, l’ultimo dei quali, a inizio XIX secolo si chiamava, con un nome quasi “scenografico”, Pietrabbondio Battiloro, subì pure nei secoli numerosi eventi sismici. 

 


Il colpo di grazia fu uno scoscendimento franoso, dovuto al disboscamento, ciò che, in pochi anni, fece sì che la popolazione si spostasse definitivamente dalle dimore avite a inizio Novecento. Tornando all’esplorazione, luoghi dell’autorità civile e religiosa sono praticamente contigui: prima la casa comunale con tanto di scritta “credere obbedire combattere” e, praticamente senza soluzione di continuità, la vetusta chiesa di Santa Maria Assunta. Arrancando nel paesino tra sterpi e rovi, almeno fin dove si può, si indovina, nei portali, una certa eleganza… chissà, forse per adeguarsi in qualche modo alla nobiltà locale. In alto, infatti, l’imponente palazzo baronale sembra ricordare al visitatore un  passato non banale. Peccato che questo luogo sia lasciato completamente all’oblio, allo stritolante abbraccio della natura e all’incessante lavorio degli elementi. Peccato, perché il fascino delle rovine, dal canto suo, quasi avvinghia. Anzi, lasciando questi luoghi e volgendosi indentro, Rocchetta Alta sembra quasi richiamarti un’ultima volta e, da bravo “paese fantasma”, saluta sotto un candido lenzuolo.

 


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