venerdì 4 gennaio 2019

Abbazia di Pomposa, miraggio spazio-temporale nella nebbia

Forse è stato meglio così… visitarla in una freddissima mattina di fine anno avvolta dalle nebbie polesane, apparsa a fatica quasi come un  miraggio  nel silenzio di un grigiore imperante. Un’atmosfera quasi metafisica dove è stato naturale lasciarsi condurre dalla curiosità dell’occhio nello scoprire i particolari delle raffigurazioni o delle architetture più insinuanti.

L’Abbazia di Pomposa (Ferrara) si svela solo in parte: molti antichi simboli restano inspiegabili, dando così materia agli appassionati di esoterismo e la sua anima più profonda la si può solo intuire. In realtà l’obiettivo principale delle pareti istoriate di affreschi era proprio l’opposto… un linguaggio immediato che srotolava le Sacre scritture in immagini a uso del popolo analfabeta e dei pellegrini che un tempo passavano numerosi da questi parti, sulla via Romea. Ma il ciclo di affreschi è completato da innumerevoli particolari che sembrano andare a comporre  un gioco enigmistico di soluzione non banale. E se è chiaro il messaggio del Cristo Pantocratore dell’abside, opera di Vitale da Bologna, meno immediate sono le suggestioni dei cerchi rotanti e degli arzigogoli degli antichissimi disegni pavimentali o delle figure mostruose che campeggiano qua e là.

Grazie anche all’atmosfera, è stato comunque facile da una parte immedesimarsi - in una sorta di osmosi spazio temporale - nel visitatore medioevale, ammonito, guarda caso all’uscita, da un Giudizio Universale in controfacciata, dove  l’occhio, più che sulle beatitudini degli eletti cade su un mostruoso diavolo divoratore ma, dall’altra, lasciarsi prendere proprio dai particolari più intriganti.


Quelli che più riportano alle influenze di un’Oriente sentito vicino e “contaminante”. Colpisce la stella a otto punte su una volta del colonnato.



Otto come le lettere di “Pomposia”… ma anche otto come i raggi della ruota del Dharma oppure l’Albero della Vita con due grifi che lo sorreggono che fa mostra di sé in un atrio abbellito da decorazioni di gusto islamico dove, incastonati, spiccano alcuni bacili in ceramica, provenienti - dice l’ottima guida locale - dalla Siria, che ornano pure il campanile.


Particolari anche gli affreschi di Pietro da Rimini (XIV sec,) che ornano il refettorio, con un’ Ultima Cena apparecchiata su un desco rotondo che, secondo alcuni studiosi, riprenderebbe le forme circolari del Santo Sepolcro di Gerusalemme, accompagnata dal numero dodici (colonne/apostoli).
Dall’altra parte, interrotta dall’immagine di Cristo in trono con il Libro della Vita, un’altra cena, quella del Beato Guido intento a trasformare l’acqua in vino.
L’ultima sorpresa è lo scoprire che proprio qui, un altro Guido monaco, conosciuto poi come Guido d’Arezzo, inventò la moderna notazione musicale scegliendo le sillabe iniziali dei versi dell'Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono. Una rivoluzione che non piacque all’interno del Monastero di Pomposa, tanto che l’ostilità dei confratelli lo costrinse a trasferirsi nella città toscana che poi gli diede in nome.

2 commenti:

  1. Diamine, non conoscevo la storia di Guido d'Arezzo. Grazie Marco.

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  2. Neanch'io, prima che me lo spiegasse la guida locale... quasi solo per noi, vista la giornata gelida e nebbiosa. Ciao!

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