lunedì 25 settembre 2017

Luoghi e nomi nello spazio-tempo di Gairo

La visita a Gairo Vecchio (Sardegna), rovine relativamente recenti, modeste, senza particolare pregio artistico ti fanno indovinare un tempo e anche una dimensione spaziale particolare. Era un villaggio dell’entroterra dell’Ogliastra, oggi è un insieme silente di muri stranamente variopinti e di case con il cielo per soffitto che cominciano a essere stritolate dalle spire verdi di onnipresenti piante di fico.



Gairo fu quasi completamente distrutto da un’alluvione, e poi abbandonato, nel 1951, per essere costruito più a monte. Addentrandosi nei viottoli e nelle poche strade degne di questo nome, ci si accorge subito che Gairo non era un paesino così piccolo anzi, senza lasciarsi andare a troppe suggestioni da "città fantasma", si intuisce una comunità ben organizzata e un paese, con case umili ma anche meno umili, ben inserito nel territorio e nell’aspra natura circostante. Una vita "in salita", come le "vie" del borgo, legata alla terra e agli animali, dove si immaginano uomini, donne e bambini… famiglie, artigiani, prete, dottore, stazione dei carabinieri.

Un salto a ritroso nel tempo… ma quale tempo? Ne ho scelto uno, su suggerimento… quello di uno delle migliaia di paesi del giovane Regno d’Italia. Il suggeritore, anzi le suggeritrici? I nomi delle "vie", quelle vie che in ogni piccolo paese magari erano (e sono) intitolate, quasi intestate, a questo o quell’abitante, dove la piazza è quella "della chiesa", la via conduce inevitabilmente "ai campi" e cose di questo tipo. Ma qui a Gairo, come in anche nel più piccolo dei paesini, il Regno, quasi a ribadire la propria ragion d’essere e con un Risorgimento ancora vicino, non rinunciò ad affibbiare, nella toponomastica "ufficiale", nomi altisonanti a umili stradine come succede per esempio con "via Garibaldi" "via Mazzini" e "via Menotti" e naturalmente con una "via Umberto", ciò che lascia presagire che queste scritte, che paiono resistere benissimo agli oltraggi delle intemperie, siano state dipinte proprio alla fine dell’Ottocento.


Ovviamente non poteva mancare una "via Roma". Qui, in un edificio che si indovina più importante degli altri (sarà stato la sede del Comune?) ecco un’altra scritta, di qualche decennio successiva: "Vincere".
Il motto del regime, la parola d’ordine "imperativa e categorica", che tante volte ho notato campeggiare a caratteri "massicci", così proprio non l’avevo mai vista: piccola, timida, quasi a volersi nascondere e a lasciar presagire nulla di buono… ora una flebile eco fagocitata dal silenzio eloquente dello spazio-tempo di Gairo.

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