Vagando nella piana del riso, lungo
le strade bianche, gli incontri non sono
molto frequenti, normalmente rari agricoltori meccanizzati, qualche biker e sparute
altre “specie” umane in pochi esemplari. Meglio così, a volte è preferibile
lasciarsi prendere per mano da ciò che sta intorno, e basta. Anzi, certi luoghi
continuano a chiamarti e tu, puntualmente, ci ritorni… perché, non so. Mi è
capitato nel maggio dello scorso anno, camminando lungo le rive del canale DAN
(Diramatore Alto Novarese) - anche quello in quanto a strano magnetismo su di
me non scherza - quando sono stato "catturato" da una cascina. Una come tante perse nelle risaie e una delle
non molte ancora non abbandonate: acqua con le prime piantine di riso, vecchie
mura, montagne e soprattutto quell’imponente albero (affiancato da alcuni “fratelli
minori”), dall’aspetto quasi sacro. Una visione che mi ha fatto subito venire
in mente ricordi lontanissimi, dalla “festa degli alberi” celebrata con
entusiasmo alle elementari, alle memorie del nonno che piantava filari di abeti
ai bordi della strada, allora sterrata, del Mottarone oltre che nel giardino di
casa. Uno di questi lo aveva piantato nel 1930, anno della nascita del suo
ultimo figlio, morto poi a 13 anni in circostanze oggi curabilissime. C’è
ancora, più in salute che mai. Chissà… forse quel piantone della cascina (un
olmo?), mi ha fatto venire in mente quello spirito vitale che pervade tutto, e
che ci accomuna anche con gli alberi. Come
si chiama quella cascina? Cascina dei
Prati… nome che è già una poesia, anche se di prati, intorno ce n’è solo uno,
piccolino, a ridosso dell’edificio, proprio dove c’è l’albero. Fatto sta che
tra nome, suggestioni varie e... sarà solo che è un bel posto, ci sono ritornato
più volte… così, per gustare i colori dello scorrere del tempo a ritmi un po’
“piegati” dall’uomo, ma alla fine dettati sempre dalla natura.
Foto maggio 2016, luglio 2016,
ottobre 2016, dicembre 2016, febbraio 2017, aprile 2017
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